La psichiatria si trova spesso ad affrontare problemi etici: il consenso informato, l’obbligatorietà della cura, il segreto professionale, l’equa distribuzione di risorse, la sperimentazione farmacologica.
C. Mencacci. Dal consenso al contratto: nuove alleanze tra servizi psichiatrici pubblici, utenti e familiari. In: La questione etica in psichiatria, a cura di Mariano Bassi, Sergio De Risio, Massimo di Giannantonio. Ed. Il Pensiero Scientifico, cap. 11, pp. 141-152, 2000.
La psichiatria, e la medicina in generale, si trova spesso ad affrontare problemi etici: il consenso informato, l’obbligatorietà della cura, il segreto professionale, l’equa distribuzione di risorse, la sperimentazione farmacologica. Le biotecnologie, inoltre, sollevano sempre nuove questioni riguardo alla nascita, alla cura e alla morte degli individui.
I saggi raccolti nel volume La questione etica in psichiatria, a cura di Mariano Bassi, Sergio De Risio, e Massimo di Giannantonio costituiscono una riflessione ricca e poliedrica su questi problemi.
Una delle prime importanti questioni affrontate è il difficile equilibrio tra autonomia e eteronomia nel rapporto tra il medico e il paziente psichiatrico. La malattia mentale implica, necessariamente, una condizione di dipendenza del paziente, quindi una delega totale o parziale al medico delle strategie terapeutiche; in questa cornice, allo scopo di salvaguardare la soggettività del paziente, si deve instaurare una relazione di coprotagonismo: la differenza di responsabilità e di competenze viene stemperata e riequilibrata dalla assoluta parità morale che deve essere instaurata tra terapeuta e paziente. é fondamentale tenere presente che l’osservanza delle norme indicate dalla deontologia psichiatrica non è sufficiente, perché il passivo rispetto delle norme esclude la riflessione critica; e la riflessione critica è una condizione necessaria del rapporto terapeutico (etico). Il paziente deve essere considerato come persona: i suoi diritti devono essere rispettati, e la sua malattia deve essere inquadrata nella sua esistenza complessiva.
Quali sono i diritti del malato mentale, e come è possibile rispettarli? Il primo e fondamentale diritto è quello di non essere inserito in una sperimentazione medica, a meno che questa non sia specificamente terapeutica. I problemi della ricerca medica e della sperimentazione (compreso l’uso del placebo) sono complessi e dibattuti a livello mondiale, così come la legittimità dei trattamenti coercitivi. Fino a dove si può sottoporre un individuo a un trattamento contro la sua volontà? Quando il trattamento rischia di divenire, da terapeutico, illegale – cioè, quando si violano i diritti di autonomia e dignità del paziente psichiatrico? Il dilemma emerge quando il paziente psichiatrico non può esprimere alcuna volontà, oppure la manifesta in opposizione al giudizio del medico: in questo caso è necessario trovare una soluzione alternativa all’idea del consenso esplicito come requisito indispensabile per l’intervento. Una di queste è il cosiddetto contratto di Ulisse, ovvero l’accordo tra i medici e il paziente psichiatrico, in base al quale il paziente acconsente di sottoporsi in futuro a determinati trattamenti, nonostante egli preveda che, nei momenti di crisi, potrà non manifestare il proprio consenso, oppure opporsi a quei trattamenti. La privacy genetica (si pensi alle banche del cervello) e il rispetto delle informazioni confidenziali sono diritti sempre più a rischio a causa del moltiplicarsi delle istituzioni coinvolte nella storia terapeutica di un paziente: il sistema sanitario, le assicurazioni, i sistemi bancari, i datori di lavoro.
La psichiatria deve sbrigarsela anche con i problemi dell’accesso ai servizi e della equa distribuzione delle risorse, soprattutto in un contesto sanitario aziendalizzato, ove oltre alla diagnosi e alla terapia è necessario tenere in considerazione la gestione dei fondi e delle risorse umane. In un contesto di risorse limitate il rischio di trattamenti sanitari insoddisfacenti è elevato, e il rischio di abbandono e trascuratezza verso i pazienti deboli diventa sempre più grave (esempi drammatici di esclusione di pazienti dovuta a limitazioni economiche si trovano sia nella sanità a pagamento nei paesi sviluppati – gli Stati Uniti, ad esempio – che nei paesi sottosviluppati, ove spesso l’assistenza sanitaria è quasi assente). In uno scenario di risorse limitate, infatti, la scelta di innalzare la qualità della terapia di un paziente (o di una tipologia di psicopatologia rispetto ad un’altra), inevitabilmente comporta una negazione o un abbassamento del livello di qualità della cura di tutti gli altri pazienti (o di altre tipologie di psicopatologie). La valutazione del migliore assetto nella distribuzione delle risorse e delle energie deve essere condotta non solo sulla clinica e sulla diagnostica, ma anche sul peso sociale della patologia, sulla diffusione e su considerazioni di tipo economico. La necessaria razionalizzazione della gestione delle risorse colloca la decisione clinica in uno spazio tridimensionale: il bene del paziente, le sue preferenze personali, l’appropriatezza sociale dell’intervento sanitario.
Uno squarcio interessante e complesso offerto dagli autori riguarda la vita dello psichiatra negli ospedali generali. Spesso agli psichiatri viene chiesto di intervenire, ad esempio, per convincere un paziente che, in possesso delle proprie facoltà mentali, rifiuta di subire un intervento chirurgico o di essere ricoverato. Questo ricorrente tentativo di persuasione implicitamente denota quel rifiuto come patologico (o almeno tendenzialmente patologico). Ma dove si colloca il confine tra il diritto alla salute e il diritto all’autonomia (che comprende il rifiuto di essere curato o ricoverato)? Una soluzione preferibile rispetto alla persuasione sembra essere la partecipazione (intesa come sostegno, chiarificazione, spiegazione) del medico alla decisione del paziente. Come è possibile migliorare il processo decisionale dei pazienti? E come può aiutare la psichiatria a comunicare gravi diagnosi a pazienti ospedalizzati, a gestire i loro aspetti psicologici e emotivi? Come verificare che l’informazione sia compresa dal paziente?
Questi complessi interrogativi si pongono anche per la psichiatria centrata sul territorio, che si trova a gestire frequentemente casi di urgenza – anche come conseguenza della chiusura degli ospedali psichiatrici. Al di là della specifica psicopatologia, gli interventi psichiatrici d’urgenza si avvalgono dell’uso di psicofarmaci. Il trattamento farmacologico d’urgenza pone dei problemi medici (tolleranza, effetti collaterali) e, naturalmente, problemi etici: ad esempio, accade spesso che la necessità di intervenire tempestivamente impedisca di ottenere un consenso. Lo “stato di necessità” permette di non considerare la volontà del paziente, e impone al medico di agire, in scienza e coscienza, in difesa della salute e della integrità del paziente e di terzi. La valutazione dello stato di necessità non dipende solo da considerazioni diagnostiche, ma anche dall’analisi della collisione tra valori in conflitto: il diritto del paziente all’autonomia, alla salute, all’integrità; il dovere del medico di intervenire, di impedire l’autodistruzione del paziente; il divieto di compiere atti di disposizione del proprio corpo quando siano contrari alla legge, all’ordine e al buon costume.
Anche in condizioni non di urgenza l’uso degli psicofarmaci solleva questioni etiche, come nel caso del trattamento dei disturbi depressivi. Il dilemma tra informare e non informare può essere fruttuosamente rimpiazzato dalla valutazione di cosa dire al paziente, in modo da permettergli di compiere una scelta consapevole e autonoma. Il conflitto tra il rispetto dell’autonomia del paziente e il dovere medico di agire nel suo interesse può trovare soluzione in una valutazione etica che sia dinamica e centrata, di volta in volta, sullo specifico contesto terapeutico. Gli estremi che devono essere evitati, perché costituiscono una violazione del senso etico della psichiatria, sono l’astensionismo terapeutico e l’imposizione terapeutica.
Gli autori affrontano anche la delicata questione della malattia terminale e della eutanasia. Lo psichiatra è chiamato a partecipare alla cura e alla assistenza del paziente incurabile, il quale spesso soffre di disturbi d’ansia, stati depressivi e alterazioni neurocognitive. Nei casi di richiesta di morte medicalmente assistita, lo psichiatra deve valutare la capacità di intendere e di volere del paziente, condizione necessaria per esprimere una richiesta che possa essere considerata valida. Lo psichiatra deve escludere che la richiesta sia condizionata da uno stato depressivo o da altri disturbi psichiatrici in grado di invalidare il giudizio del paziente, e di distorcerne il processo decisionale. Questa valutazione è particolarmente complessa, perché una condizione depressiva è spesso ritenuta naturalmente associata alla malattia terminale; diviene ancora più complessa quando vi si aggiunge una eventuale richiesta di giudicare la trattabilità della psicopatologia riscontrata.
La normativa attuale ammette, e anzi auspica, la possibilità di una relazione tra i malati mentali e gli individui sani all’interno della società. Il malato mentale (e non più l’alienato) non deve essere segregato e isolato, ma coinvolto in una dialettica, certo complessa, con i Ônormali’. La riabilitazione psichiatrica nasce su queste basi legislative e sulla convinzione della curabilità della malattia psichica (che non coincide necessariamente con la guaribilità). Lo spazio, legale e terapeutico, in cui la riabilitazione psichiatrica si muove apre anche questioni etiche complesse: la relazione come fondamento della cura; la riflessione sul significato, sulle aspettative e sui limiti della relazione terapeutica; la responsabilità dell’operatore; la necessità di un confronto sociale a cui è chiamato l’operatore.
L’introduzione della Carta dei Servizi dei cittadini (241, 1990) e della Legge sulla Privacy (657, 1996) ha dato avvio a un processo di sensibilizzazione verso il rispetto dei diritti dei pazienti, e ha sollevato alcune questioni di natura etica. Il consenso a fornire informazioni (come la cartella clinica) e la riservatezza sono problemi complessi, così come la possibilità di scelta da parte del paziente del medico di servizio, la gestione dei reclami, il rapporto con il volontariato, la diffusione delle esperienze soddisfacenti dei servizi e degli operatori psichiatrici.
Tra le questioni etiche di nuova emergenza si riscontra senza dubbio quella relativa agli immigrati affetti da disturbi mentali. L’instaurazione del rapporto terapeutico è complicata dalla non condivisione di uno sfondo sociale e culturale simile, dalla maggiore difficoltà di ottenere una garanzia che avvenga uno scambio obiettivo e esauriente di informazioni (difficoltà spesso determinata anche da barriere linguistiche). Il paziente psichiatrico immigrato può incontrare grosse difficoltà su alcune importanti questioni: il rischio di marginalizzazione in ambiente ospedaliero e sanitario; lo scarso o assente supporto affettivo e ambientale; le condizioni di vita disagiate e degradate. La psichiatria deve assumere queste considerazioni, che si aggiungono alle valutazioni transculturali, al fine di garantire agli immigrati una equità di trattamento.
Infine, automazione e internet offrono opportunità fino a poco fa inimmaginabili, anche in medicina e psichiatria, ma al contempo suscitano interrogativi circa le responsabilità e i processi di rete. Esistono delle condizioni per cui l’accesso alle informazioni mediche e psichiatriche (o i forum, oppure addirittura le consulenze on-line) costituiscano una terapia? Oppure la tecnologia informatica deve essere utilizzata soltanto per archiviare e organizzare i dati? Qualunque sia la posizione riguardo i dilemmi posti dalla psichiatria informatica, è importante che questi dilemmi siano illuminati e esplicitati, e che non rimangano nell’ombra.
I protagonisti di questo meritevole sforzo, il cui risultato è un agevole e soddisfacente atlante dei problemi etici della psichiatria, sono: Eugenio Aguglia, Alfredo Carlo Altamura, Fausta Calvosa, Claudio de Bertolini, Filippo M. Ferro, Luigi Frighi, Maria Luigia Fusco, Claudio Mencacci, Emilio Mordini, Carmine Munizza, Mauro Percudani, Massimo Rabboni, Marco Rigatelli, Antonino Riolo, Daniele Salvadori, Michele Schiavone, Fabrizio Starace, Giuliano Turrini, Maria Zuccolin.
Recensione di Chiara Lalli