Era bruciato dallo stress.
«L’altra sera ero a cena con un amico pilota e ho subito avanzato l’ipotesi della sindrome di burnout per spiegare la dinamica dell’incidente aereo », confida Claudio Mencacci, direttore delle Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano.
Che cos’è la sindrome di burnout?
«È il “bruciarsi” tipico di professioni in cui le performance sono importanti, in cui lo stress può diventare deleterio in presenza di personalità predisposte o che mascherano tendenze depressive. Accade così che via via questi soggetti “brucino” le risorse che hanno a disposizione. Risorse cognitive, affettive, relazionali. Diventano indifferenti, apatici. Addirittura cinici se svolgono professioni di aiuto».
Quindi è possibile individuare per tempo questi soggetti?
«Sì. Nel caso in questione poi il profilo di personalità del copilota era già emerso quando a 21 anni ebbe episodi che ne rallentarono l’addestramento. Già burnout».
Ma da qui a un suicidio omicidio di massa ce ne corre.
Come è possibile?
«Intanto occorre premettere che la professione di pilota richiede capacità psicofisiche molto elevate per i livelli di performance richiesti dalle responsabilità, i continui cambi di ritmo sonno-veglia e di fusi orari. Non solo. Anche nei legami affettivi e di amicizia si possono creare tensioni dovute alle continue assenze. Questo giovane copilota poi aveva avuto risultati estremamente brillanti dopo il primo burnout e quindi è ipotizzabile un effetto “rimbalzo”. Per proteggere queste personalità occorre una rete di affetti e amicizie che fanno da scudo a situazioni di forte stress e abbassamento dell’umore. Ma questi soggetti a un certo punto tendono a chiudersi, a restringere sempre più la loro coscienza fino a pianificare la morte come liberazione.
La progettano e aspettano il momento opportuno.
Hanno il dito sul grilletto e il colpo in canna. In attesa di uscire dal tunnel eliminando del tutto la loro coscienza. A quel punto lui vedeva solo l’uscita dal tunnel, le 150 persone con lui non esistevano proprio. Non c’erano».
Il momento opportuno? Quale?
«Quando il pilota è uscito dalla cabina. È lì che il dito ha premuto il grilletto».
La compagnia aerea non doveva intercettare prima una tale personalità? «I controlli sui piloti ci sono e sono rigidi. Forse dovrebbero stare più attenti agli aspetti di salute mentale al momento delle selezioni. Comunque incidenti del genere sono rarissimi. Ma ci sono. Se ne contano quattro negli ultimi 20-25 anni,
compreso questo. Rari, quindi, ma il punto è che dovrebbero essere zero».