L'esperto di hi tech: "Mai senza, serve ai piccoli per chiedere aiuto". Lo psichiatra: "Può ritardare l'interazione sociale"
Per i nati negli anni ’80 il primo cellulare è arrivato più o meno all’università. Tutto il liceo lo hanno trascorso al telefono fisso, con le scenate del papà a fine mese per le bollette, che “ti mando in collegio se non la pianti di stare lì attaccato per ore” e la mamma che alzava la cornetta dall’altra parte per sentire con chi stavamo parlando. Poi, presa la maturità, nelle loro vite ha fatto la comparsa il Nokia 3310. Per i bambini di oggi, i nativi digitali, quelli che escono dalla pancia della mamma e già tappano sul tablet, le cose vanno in modo del tutto diverso. Ora in commercio non ci sono solo i device per adulti. Il mercato, compreso quello italiano, offre da qualche tempo smartphone progettati e pensati per pargoli dai 3 anni in su.
Un orrore? A sentire i belgi è addirittura illegale mettere in commercio device per bambini perché li espone alle onde elettromagnetiche. E se a Bruxelles hanno deciso di proibire la vendita di cellulari giocattolo per non incentivare il desiderio, in Italia invece abbiamo tutt’altro atteggiamento. Secondo Eurispes il 62 per cento dei bambini nella fascia di età 7-11 ha a disposizione un telefonino proprio. E ben il 17,6 per cento ha un cellulare prima dei sette anni. Risultato, nel nostro paese prendono piede telefonini e smartwatch per piccolissimi. In genere questi apparecchi hanno delle funzioni molto limitate, pochi tasti e pochi contatti memorizzati, tra cui i numeri di mamma e papà in aggiunta ai centralini del pronto intervento, funzioni di geolocalizzazione per sapere sempre dov’è il pargolo e navigazione su internet limitata o inesistente. Fulcro di tutto è il parental control, ossia la possibilità per i genitori di controllarne completamente il contenuto. Non a caso infatti colossi come Apple abbiano da tempo introdotto la possibilità di creare profili ad hoc per i figli gestibili a distanza soprattutto per evitare spiacevoli sorprese sulla carta di credito.
Nella maggior parte dei casi infatti i piccoli smanettano con lo smartphone di mamma e papà. Ed è questo scenario che presenta i problemi più grandi. “Il vero nodo è l’ignoranza tecnologica degli adulti”, spiega Marco Camisani Calzolari, autore di Il mondo digitale facile per tutti (Mondadori). “I bambini non vanno lasciati senza cellulare, anche se sono piccoli. In primis perché questo permette a noi genitori di comunicare con loro in qualsiasi momento. Ma soprattutto perché loro possono mettersi in contatto con noi se sono in difficoltà, come può accadere, ad esempio, su una pista da sci”. Quindi meglio dotarli di proprio device, piuttosto che costringerli a chiederci continuamente il nostro. Secondo Calzolari anche la navigazione sul web non deve essere proibita. “La rete è una fonte di conoscenza, quindi vietarla sarebbe come negare a un bambino la lettura di un libro. Si tratta solo di spiegargli come usarla”.
Più prudente è invece lo psichiatra Claudio Mencacci che cita uno studio della Boston University School of Medicine secondo il quale l’utilizzo degli smartphone e dei tablet nei bambini sotto i tre anni può “ritardare l’interazione sociale e l’interesse nel mondo esterno”. Ma non solo. “Essere abituati fin da piccoli che a un gesto corrisponde un’immediata reazione può ridurre l’autocontrollo e rallentare lo sviluppo del linguaggio”, continua Mencacci. I rischi insomma ci sono. E pensare di sostituire le televisioni, di fronte alle quali sono state parcheggiate intere generazioni di bambini, con lo smartphone è una follia. Ma lo stesso Mencacci non ha dubbi: “La tecnologia fa parte della vita dei nativi digitali e non possiamo opporci a questa realtà”. La chiave dunque è solo una. Non lasciare i propri figli mai da soli. Nemmeno davanti allo schermo di un telefonino. Con buona pace dei belgi e di chi pensa che la tecnologia sia la causa di tutti i mali.
IL DECALOGO
Da La 27a Ora