Parole d’ordine: formazione e collaborazione fra gli operatori attivi nei carceri. Ecco due degli elementi chiave contenuti nell’Accordo sul documento recante “Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidane nel sistema penitenziario per adulti” approvato definitivamente da parte della Conferenza Stato-Regioni del 27/7/17 e pubblicato in GU in data 14/8.
Il Piano nazionale, incorporando le indicazioni fornite dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel documento del 2007 “La prevenzione del suicidio nelle carceri” delinea per contrastare il problema un modus operandi “integrato” e “multidisciplinare” che dovrà permeare il lavoro futuro di tutti i soggetti che operano nel sistema penitenziario.
Dopo la riforma della sanità penitenziaria, nel 2012 la Conferenza unificata ha approvato un Accordo in merito alle “Linee di indirizzo per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internauti e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale” proposte dal tavolo di consultazione permanente sulla sanità penitenziaria.
Ma, a distanza di cinque anni, la necessità di “superare la fase di sperimentazione” costruendo una architettura organizzativa includente gli interventi nazionali quanti quelli degli enti più periferici, e il riconoscimento delle differenze tra popolazione minorenne e maggiorenne hanno portato all’adozione, tramite il nuovo Accordo, di un Piano nazionale che dispone una serie di azioni pratiche volte alla prevenzione del fenomeno.
Osservando i dati raccolti da Ristretti Orizzonti nel dossier “Morire di Carcere” i suicidi sono diminuiti negli ultimi anni: se nel 2009 si uccisero 72 detenuti, nel 2016, 45. La serie storica rileva una lenta diminuzione progressiva fino al 2015, durante il quale si tolsero la vita 43 carcerati. Durante il question lime del 1° marzo 2017, il ministro della giustizia Andrea Orlando. oltre a dare i dati ufficiali (43 casi di suicidio nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016), ha affermato che “l’Italia, nella comparazione con gli altri grandi paesi europei realizzata dal Consiglio d’Europa, registra uno dei tassi più bassi di suicidio”.
Invece, secondo il XIII Rapporto dell’Associazione Antigone, sono in aumento i tentativi di suicidi e l’autolesionismo. Benché in questi casi il dato sia profondamente condizionato dai criteri di classificazione adottati nell’interpretazione dei fatti, variabile nel tempo e a seconda dell’istituto, il rapporto sostiene che nell’ultimo ventennio tassi così alti di tentativi di suicidio si erano registrati .solo a fine anni 90 (nel 1998 segnalati 188 casi), nel 2012 con 196 casi.
L’8 gennaio dell’anno successivo la Corte di giustizia Ue si pronuncerà con la sentenza pilota sul ricorso “Torreggiani e altri c. Italia, evidenziando i limiti dell’iper-affollato sistema carcerario nazionale), e nel 2016 con 187 tentativi. “Questa recrudescenza del fenomeno ci suggerisce che la prevenzione del suicidio nelle carceri italiane stia funzionando meglio soprattutto se inteso come intervento immediato nel momento in cui si materializza un tentativo. Quindi, l’intervento materiale degli agenti preposti al controllo piuttosto che un miglioramento generale del benessere all’interno delle strutture” si legge nel Rapporto. Per quanto riguarda gli atti di autolesionismo, il trend di crescita ha un balzo significativo a partire dal 2007 e non si arresta neanche negli anni in cui il numero dei detenuti diminuisce, raggiungendo quota 8.586 casi nel 2016.
I progetti attivati Dal 9/5 scorso e iniziato un corso ad hoc da svolgere in un triennio per tutti gli operatori delle cinque Case circondariali presenti nella provincia catanese mentre l’azienda sanitaria di Palermo ha attivato la presenza mensile per complessive 364 ore di psicologi e per 350 ore di psichiatri nelle carceri provinciali. Ecco il risultato delle “Linee guida sul Programma operativo di prevenzione del rischio autolesivo e suicidario in carcere” emanate da Baldassarre Guicciardi, assessorato regionale alla salute il 21 aprile scorso, che ha stimolato anche la firma di tre protocolli da parte dell’Azienda sanitaria e dai direttori dei carceri di Ucciardone, Pagliarelli e Termini Imerese per intercettare e trattare con tempestività gli stati di disagio psicologico, di disturbo psichico o altre fragilità, attribuendo anche ai detenuti un ruolo importante come quello di caregiver e peer supporter.
Nella casa di reclusione dì San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, lo scorso mese è partito, invece, un progetto sperimentale indirizzato a detenuti e operatori per imparare la pratica della mediazione. “Abbiamo dato spazio alla formazione nelle linee guida, racconta a Italia Oggi Emanuele Luigi Piscitello, Capo di gabinetto vicario dell’assessorato regionale salute “come anche alla collaborazione, includendo nelle scelte tutti gli stakeholder dal cappellano al garante regionale delle persone detenute, che ha espresso la disponibilità a fornire 15 mila euro per sostenere le spese di formazione degli operatori. Fare rete e l’accrescimento delle competenze sono due elementi fondamentali per prevenire il mal di vivere”.
In realtà, secondo l’ultimo monitoraggio del Ministero della giustizia, datato 21/12/2016, le Linee guida sono state adottate solo da 13 Regioni: mancano all’appello quelle del Friuli, Basilicata, Sardegna, Trentino, Umbria e Valle d’Aosta (come detto, la Sicilia le ha emanate il 21/4/17). “Ogni ente cerca di declinare gli indirizzi nazionali a seconda delle criticità degli istituti presenti sul territorio” conclude Piscitello.
Dall’inizio dell’anno molte le realtà locali che hanno firmato protocolli in tema di prevenzione: l’Asl di Teramo e il carcere di Castrogno hanno puntato a uno staff dal background differente che include anche figure come il mediatore culturale mentre l’istituto di Busto Arsi-zio e l’Assi Valle Olona hanno preferito concentrare i propri sforzi con una doppia visita, psicologica e psichiatrica, per i nuovi giunti.
“Serve un nuovo percorso diagnostico terapeutico assistenziale” afferma Claudio Mencacci, ex presidente della Società italiana di psichiatria, raccontando a Italia Oggi Sette il progetto itinerante “Insieme – La salute mentale in carcere, promosso anche dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria e dalla Società italiana di psichiatria delle dipendenze. L’iniziativa, partita il 26/9/16 e conclusa nei primi mesi del 2017, è nata per sensibilizzare e formare i soggetti coinvolti nel circuito assistenziale, sollecitando un nuovo approccio alla gestione delle malattie mentale in carcere.
“Al momento i problemi più ardui sono la scarsa integrazione delle figure professionali e la mancanza di dati epidemiologici precisi, necessari per offrire l’opportuna assistenza alle fasce più vulnerabili dei detenuti” Infatti, come rivela l’Oms, i detenuti con disturbi psichiatrici sono a maggior rischio suicidario. Il garante nazionale dei diritti delle persone detenute nella relazione al Parlamento, presentata nel marzo scorso, ha invitato a potenziare progetti non di carattere contenutivo perché “l’isolamento e la sorveglianza non possono essere considerate di per sé strumenti di prevenzione”.
Da Italia Oggi