Ciò che sta accadendo col terrorismo colpisce gli spazi in cui si sta in compagnia", prosegue. Tutto ciò spinge all'isolamento, che riduce gli spazi di tolleranza.
(ANSA) – ROMA, 19 AGO – Dai suprematisti Usa a chi si rifiuta di affittare le stanza alle persone di colore, il collante dietro questi episodi, sempre più frequenti negli ultimi mesi, è la paura e il sentirsi minacciati, anche nei luoghi legati a divertimento e socialità, come accaduto con gli attentati terroristici degli ultimi anni. Lo spiegano gli psichiatri.
“Quando aumentano paura, diffidenza e paranoia, cresce l’adesione al razzismo. C’è la necessità di individuare nel diverso, che sia per il colore della pelle, l’estrazione culturale o sociale, il nemico da tenere a distanza”, sottolinea Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano. E la paura, come quella provocata dagli attacchi terroristici, è un facile terreno di coltura per tutti questi atti discriminatori. “Ciò che sta accadendo col terrorismo colpisce gli spazi in cui si sta in compagnia”, prosegue. Tutto ciò spinge “all’isolamento, che riduce gli spazi di tolleranza”, rileva Mencacci. In ognuno di noi ci sono due modalità per gestire il nostro rapporto con il mondo: “quella ansiosa, con cui si cerca di prevenire il cambiamento e tutto ciò che è diverso da noi, e quella invece che, grazie ad una maggiore apertura mentale riesce ad affrontare il cambiamento e la diversità”, aggiunge Giampaolo Perna, direttore del dipartimento di Neuroscienze di Villa S.Benedetto Menni vicino Como. “Se c’è pericolo, si ragiona in difesa, proteggendosi da ciò che è nuovo e diverso”, conclude Perna.
E’ la paura e il sentirsi minacciati, anche nei luoghi legati a divertimento e socialità, come accaduto con gli attentati terroristici più recenti, la ‘miccia’ che ha contribuito a moltiplicare gli episodi di razzismo, sempre più frequenti negli ultimi mesi, all’estero e in Italia, come mostra la cronaca recente. Dai suprematisti Usa a chi si rifiuta di affittare le stanza alle persone di colore, il
collante è la paura, spiegano gli psichiatri. “Quando aumentano paura, diffidenza e paranoia, cresce l’adesione al razzismo. C’è la necessità di individuare nel diverso, che sia per il colore della pelle, l’estrazione culturale o sociale, il potenziale nemico da tenere a distanza, che non rientra nella norma”, sottolinea Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale
Fatebenefratelli-Sacco di Milano. “Razzismo, nazionalismo, suprematismo sono frutto di un’ignoranza radicata, dell’adesione
a luoghi comuni”, continua. E la paura, come quella provocata dagli attacchi terroristici, è un facile terreno di coltura per
tutti questi atti discriminatori. “Ciò che sta accadendo col terrorismo colpisce gli spazi in cui si sta in compagnia. E’
come se si fosse ‘bombardati’ via terra nei luoghi del relax, dove tutti abbiamo le antenne delle vigilanza più rilassate”,
prosegue. Tutto ciò spinge “all’isolamento, che a sua volta alimenta un irrigidimento sui luoghi comuni, di avere più
diritti degli altri. E la logica del rinchiudersi riduce gli spazi di tolleranza”, rileva Mencacci. In ognuno di noi ci sono due modalità per gestire il nostro rapporto con il mondo, spiega Giampaolo Perna, direttore del dipartimento di Neuroscienze di Villa S.Benedetto Menni vicino Como: “quella ansiosa, con cui si cerca di prevenire il cambiamento e tutto ciò che è diverso da noi, e quella invece che, grazie ad una maggiore apertura mentale riesce ad affrontare il cambiamento e la diversità”. “Se c’è pericolo, si
ragiona in difesa, proteggendosi da ciò che è nuovo e diverso”, aggiunge Perna.
Gli ultimi dati resi noti dall’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento Pari Opportunita’ della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mostrano che nel 2016, delle istruttorie aperte, il 69% ha riguardato fatti discriminatori per motivi etnico-razziali, il 9% per motivi religiosi o convinzioni personali, il 16% per la disabilità, il l’9% per l’orientamento sessuale e l’identità di genere e per il 5% l’età. Il fatto che questi comportamenti non vengano stigmatizzati a sufficienza a livello pubblico e politico “non aiuta. E’ molto facile invece soffiare sui luoghi comuni”, conclude Mencacci. (ANSA).