Secondo alcune ricerche, sembra esistere una correlazione tra la tendenza a condividere autoscatti sui social media e alcuni tratti legati al narcisismo. Ma non bisognerebbe correre subito alle conclusioni.
(di Marcello Turconi) APPROFONDIMENTO – Non è una “notizia” fresca, ma purtroppo continua a essere rilanciata da tantissimi siti di (dis)informazione e relativi profili social: chi si fa e pubblica online molti selfie è uno psicopatico. A dirlo, come spesso si legge in simili situazioni, è la scienza, grazie a seri e documentati studi scientifici i cui risultati sono stati confermati dalla stessa American Psychiatric Association.
È proprio così? Per scoprirlo analizziamo con attenzione le ricerche in questione (che, è giusto ribadirlo a scanso di equivoci, sono effettivamente precise e accurate). Innanzitutto è importante la definizione di selfie utilizzata dagli scienziati, che sarà poi cruciale nell’analisi stessa dei risultati: con questo termine si intende “qualsiasi fotografia in formato autoritratto, da solo o con altre persone; la fotografia può essere realizzata con il braccio proteso e l’obiettivo puntato verso di sé, oppure puntando la fotocamera verso uno specchio”.
Sulla base di questa definizione, i ricercatori hanno esaminato l’eventuale relazione tra comportamenti narcisistici e la propensione a scattare tre diverse sottocategorie di selfie: da soli, con il proprio o la propria partner e di gruppo. In particolare, sono stati effettuati due studi: il primo ha coinvolto un gruppo composto da 748 adulti (uomini e donne), a cui è stato chiesto di contare quanti selfie di ogni sottocategoria avessero pubblicato su social network o in messaggi privati. Il secondo, che ha visto la partecipazione di 548 persone, prevedeva invece un metodo di conteggio più obiettivo: erano gli stessi ricercatori a contare il numero di autoscatti, grazie all’accesso ai profili social dei partecipanti.
I ricercatori hanno poi correlato questi dati con i punteggi ottenuti dai partecipanti in scale di valutazione per diverse attitudini che, globalmente, concorrono a definire un comportamento psichiatrico di natura narcisistica (autosufficienza, intesa come tendenza ad evitare in ogni caso l’aiuto degli altri; vanità, soprattutto legata all’aspetto fisico; eccessiva leadership e propensione al comando; bisogno di ammirazione ed esibizionismo).
Per entrambi gli studi, negli uomini è stata osservata una correlazione positiva tra i fattori delle scale di valutazione (eccetto l’autosufficienza) e il numero di selfie, di qualsiasi sottocategoria, realizzati. Per le donne, invece, la correlazione era valida solo per quanto riguarda l’esibizionismo, e solo per determinate tipologie di autoscatti (selfie “solitari” nel primo studio e “di coppia” nel secondo).
Donne salve, ma uomini narcisisti e tendenti alla psicopatia, quindi? Innanzitutto è importante sottolineare che queste correlazioni, seppur statisticamente significative, sono piuttosto modeste. Risulta inoltre fondamentale ricordare che esistono molti altri motivi, a parte il semplice apparire, per le quali si pubblicano foto sui propri profili: ad esempio può essere un modo – e vale soprattutto per gli autoscatti di gruppo e per quelli “di coppia” – per rimanere in contatto o connettersi con altre persone. Questo spiegherebbe, tra l’altro, la minore correlazione tra selfie e narcisismo nelle donne, che – dimostrano studi precedenti – tendono in maggiore misura rispetto agli uomini ad utilizzare i social media come mezzo di interazione e connessione.
È infine importante tenere in considerazione, cosa che non è stata fatta in questo studio, sfumature ancora più particolari nella tipologia di selfie: si vuole mostrare se stessi, il luogo che si sta visitando o un nuovo acquisto? Quello che è certo è che le modeste correlazioni riportate dagli studi non indicano che chiunque posti un alto numero di selfie sia narcisista. Né tantomeno uno psicopatico, conclusione a cui hanno strizzato l’occhio, in modo più o meno marcato, diverse fonti e che rischia di banalizzare il problema delle patologie psichiatriche.
“Oggi esistono parametri in base ai quali viene fissata la soglia per la diagnosi di disturbo mentale: il parametro di gravità (numero, intensità e durata dei sintomi) e soprattutto il parametro relativo al grado di sofferenza e di compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e relazionale dell’individuo”, commenta Claudio Mencacci, medico psichiatra e Presidente della Società Italiana di Psichiatria. La diagnosi di una patologia psichiatrica risulta ancora uno dei problemi maggiori: “Nonostante i molti progressi scientifici non ci sono ancora test biologici basati su geni, marcatori nel sangue o imaging cerebrale che aiutino a diagnosticare le malattie mentali, così la diagnosi è basata sull’osservazione dei parametri sopracitati. Quindi un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da una alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni e del comportamento di un individuo che riflette una disfunzione psicologica, biologica, evolutiva che sottendono al funzionamento mentale”.
Quando, quindi, si può parlare di disturbo psichiatrico? “I disturbi mentali sono di solito associati a un livello significativo di disagio o di disabilità nella vita sociale, nel lavoro o in altre attività importanti”, prosegue Mencacci. “Come per la restante medicina, come per il diabete o l’ipertensione, il confine tra maggior parte dei disturbi mentali e il range della normalità non esiste in natura, ma viene fissato sulla base della utilità clinica”.
Quando non si manifestano segni di disagio e sofferenza, i selfie addicted possono quindi tirare un sospiro di sollievo. A noi non resta che aspettare eventuali, futuri studi più definitivi e, soprattutto, cercare di riportarne i risultati nel modo più obiettivo e neutro possibile.
Da Oggi Scienza