Inaugurata oggi negli spazi del Complesso del Vittoriano a Roma l’esposizione “Schedati, perseguitati, annientati.
A partire dal 1934, 400.000 cittadini tedeschi di entrambi i sessi, affetti da patologie mentali considerate ereditarie e incurabili, furono sterilizzati contro la loro volontà. Tra il 1939 e il 1945, più di 200.000 persone ricoverate in ospedali psichiatrici tedeschi furono assassinate perché ritenute un inutile peso per la popolazione tedesca. Solo a partire dagli anni ’80 ebbe inizio l’elaborazione di quanto accaduto.
Nel 2010 la società tedesca di psichiatria, sotto la presidenza di Frank Schneider, riconobbe ufficialmente la responsabilità della psichiatria tedesca per i crimini commessi. Attraverso 50 pannelli contenenti biografie e immagini storiche, l’esposizione vuole raccontare l’assoluta disumanità perpetrata nei confronti dei malati psichici e dei disabili durante il nazionalsocialismo e la conseguente omertà sull’accaduto nella Germania postbellica.
Fotografie, disegni, documenti ufficiali e inediti espostiper la prima volta in Italia, evidenziano il complesso meccanismo organizzativo che consentì i crimini: allo sguardo impassibile e scientifico dei responsabili e dei loro complici, si contrappone quello umanissimo delle vittime. Molte le tematiche approfondite, come le politiche di igiene razziale e l’eugenetica, gli omicidi e il conseguente impatto sull’opinione pubblica.
Malati, manicomi e psichiatri in Italia: dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale, è la sezione aggiuntivapensata appositamente per l’Italia. Curata dal Comitato Storico Scientifico della SIP, riassume e analizza le responsabilità della psichiatria italiana durante l’epoca fascista, che fu sempre contraria all’uccisione dei malati ma, sotto la Presidenza di Arturo Donaggio, fu l’unica società scientifica a legittimare le leggi razziali del 1938.
Inoltre, è poco noto che negli ultimi anni del conflitto furono circa 30.000 le persone ricoverate negli ospedali psichiatrici italiani che persero la vita a causa dell’inedia e dell’abbandono. Molti gli aspetti analizzati: dalla situazione dei manicomi italiani dopo la prima guerra mondiale, all’adesione della psichiatria ufficiale all’ideologia fascista, fino alle deportazioni di pazienti dagli ospedali psichiatrici del Nord Italia verso la Germania.
Dopo anni di pace, oggi una condizione di grande incertezza e paura porta alla luce ideologie e comportamenti del passato. “Il sentimento prevalente – spiega Claudio Mencacci, presidente SIP e direttore del progetto espositivo italiano – è una pervasiva sensazione di allarme di fronte a minacce vaghe, difficili da afferrare e combattere, che minano innanzitutto la coesione fra individui. Di fronte alla violenza che cresce i legami sociali si indeboliscono, aumentano isolamento e rifiuto del dialogo, ma anche diffidenza e sospetti: basta poco per percepire l’altro come nemico e la paura che si diffonde può diventare una risorsa per la demagogia, oltre che benzina per quella che potremmo definire paranoia, una vera e propria malattia che colpisce oggi oltre due milioni di italiani”.
Il clima sociale disgregato attuale insinua violenza, aumenta l’aggressività dei singoli e la paranoia può così manifestarsi anche in soggetti normali, che non sembrano perversi o sadici ma sono persone anonime, povere di idee, addirittura banali come direbbe Hannah Arendt.
“Oggi – precisa Mencacci – come alle soglie della seconda guerra mondiale, la paranoia si sta insinuando nella vita di molti popoli, anche in Europa e negli Stati Uniti, e, con forme e toni diversi, in modo più subdolo, continua a fare la storia: la diffidenza, le accuse, la negazione del dialogo e la proiezione sistematica sull’altro della responsabilità dei programmi disattesi dimostrano che nel tessuto della nostra società ci sono venature paranoiche. E mentre Europa e Stati Uniti rimandano le cause di tutti i problemi a fattori sociali, economici, finanziari, migratori non ci si accorge che all’origine di tutto c’è sempre l’uomo, che dimentica di quali errori sia capace. Purtroppo bastano appena quattro generazioni perché tutto venga dimenticato, perché le posizioni razziste e stigmatizzanti prese 70 anni fa siano considerate lontane, irripetibili”.
“La nostra mostra – continua Bernardo Carpiniello, Presidente Eletto della Società Italiana di Psichiatria – può e deve essere un’occasione per meditare soprattutto sul presente, perché i segnali di una ‘febbre’ che sta salendo nel mondo ci sono tutti e credere che quanto è accaduto non possa tornare è un’illusione. Il senso di solidarietà sociale si è perso ed è forte il desiderio di un uomo solo al comando che possa scacciare le tante paure che oggi ci attanagliano. Ma tutto questo è un pericolo per le nostre società, perché dimentichiamo spesso quanto sia veloce il passaggio da una democrazia a una democrazia limitata”.