«Malati, Manicomi e psichiatri in Italia dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale», la società Italiana di psichiatria fa il punto tra passato e futuro.
di Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Psichiatria
La Psichiatria Italiana punta il dito contro il razzismo e il fascismo lanciando un’allerta sul presente attraverso una mostra, aperta dal 9 febbraio negli spazi del Vittoriano a Roma: “ Schedati, perseguitati, annientati” con una sezione dedicata a “Malati, Manicomi e psichiatri in Italia dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale”.
La società Italiana di psichiatria ha vissuto i suoi anni bui durante il ventennio fascista, quando l’allora Presidente Arturo Donaggio fu il primo firmatario delle Leggi razziali nel luglio del 1938. Ricordare, abbandonare la rimozione su quanto avvenne e sulle scellerate e drammatiche conseguenze per moltissime persone, far conoscere le atrocità commesse, è fondamentale per capire il mondo di oggi con tutti i suoi drammi, conflitti, tragedie e intolleranze nei confronti dell’altro. È fondamentale riconoscere l’attualità di questi temi e la necessità di tutelare le persone in difficoltà: sono inaccettabili le posizioni del passato e il pensiero di chi ha sostenuto posizioni razziste, antisemite, stigmatizzanti camuffate da falsa veste scientifica. Le Società di psichiatria Italiana e Tedesca vogliono, in un momento storico in cui emergono nuovamente i pregiudizi sulle persone, ricordare che dalle ceneri del secolo scorso emerse un ideale di pace chiamato Europa e vogliono contribuire a essere una delle anime di questo ideale, che non è realizzabile senza il rispetto dei diritti e della dignità umana.
Oggi come ieri, domani come allora, una nuova “tempesta perfetta” si addensa all’orizzonte perché viviamo tempi di incertezza e paura. Il sentimento prevalente è una pervasiva sensazione di allarme di fronte a minacce vaghe, difficili da afferrare e combattere, che minano innanzitutto la coesione fra individui. Di fronte alla violenza che cresce, i legami sociali si indeboliscono, aumentano isolamento e rifiuto del dialogo, ma anche diffidenza e sospetti: basta poco per percepire l’altro come nemico e la paura che si diffonde può diventare una risorsa per la demagogia, oltre che benzina per la paranoia. Questo disturbo porta ad attribuire significati dove non ne esistono e a considerare pericolose persone o situazioni che non lo sono: tutto ciò in una percentuale limitata di casi diventa malattia, ma in forma meno acuta è un problema molto diffuso.
Il disturbo di personalità paranoideo riguarda infatti dal 2 al 4 % della popolazione, un ampio bacino di cittadini particolarmente fragili di fronte a condizioni storiche particolari come le attuali, non troppo dissimili da quelle in cui, in passato, intere collettività sono state spinte da capi carismatici a individuare il pericolo in gruppi di soggetti identificati come l’origine dei problemi. Quando scatta il meccanismo della paranoia possiamo compiere qualunque azione contro il bersaglio perché viene meno il senso di colpa e qualsiasi possibilità di empatia, perché l’altro non è più un nostro simile, ma il nemico, la causa delle nostre sofferenze. La follia lucida della paranoia, che non è un male in sé ma può generare il male, nel corso della storia ha massacrato e annientato più uomini e donne delle epidemie di peste: è successo quando si è trasformata da personale a collettiva, sulla spinta di leader capaci di un linguaggio seducente, di incarnare il desiderio di rivincita e di richiamare all’orgoglio un popolo che si trova sull’orlo della protesta sociale, reso vulnerabile dalle condizioni economiche.
Il clima sociale disgregato attuale insinua violenza, aumenta l’aggressività dei singoli e la paranoia può così manifestarsi anche in soggetti normali che non sembrano perversi o sadici, ma sono persone anonime, povere di idee, addirittura banali come direbbe Hannah Arendt. Oggi, come alle soglie della seconda guerra mondiale, la paranoia si sta insinuando nella vita di molti popoli, anche in Europa e negli Stati Uniti e, con forme e toni diversi, in modo più subdolo, continua a fare la storia: la diffidenza, le accuse, la negazione del dialogo e la proiezione sistematica sull’altro della responsabilità dei programmi disattesi dimostrano che nel tessuto della nostra società ci sono venature paranoiche. E mentre Europa e Stati Uniti rimandano le cause di tutti i problemi a fattori sociali, economici, finanziari, migratori non ci si accorge che all’origine di tutto c’è sempre l’uomo, che dimentica di quali errori sia capace. Purtroppo bastano appena quattro generazioni perché tutto venga dimenticato, perché le posizioni razziste e stigmatizzanti di 79 anni fa siano considerate “lontane, irripetibili”. La “ febbre’” sta salendo nel mondo, il senso di solidarietà sociale si è perso ed è forte il desiderio di “uomini soli al comando” che possano scacciare le tante paure che oggi ci attanagliano. Tutto questo è un pericolo per le nostre società, perché dimentichiamo quanto sia veloce il passaggio dove la demagogia sostituisce l’argomentazione e una politica autoritaria la democrazia.
L’esposizione a Roma vuole essere un momento per riflettere su tutto ciò, per riconoscere nella tutela dei diritti dell’uomo un valore fondante della società e per sottolineare con forza che oggi la psichiatria non è più subalterna al potere politico. Con la grande svolta del 1978 è iniziato il riscatto, facendo del rispetto e della dignità del malato il motivo della sua pratica clinica. La recente chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari rappresenta un’ulteriore conquista in questo senso, il prossimo obiettivo è un potenziamento della assistenza psichiatrica nelle carceri e ottenere un finanziamento per la salute mentale pari ad almeno il 6% del fondo sanitario nazionale.