Un fanale rotto, un tamponamento per una precedenza non rispettata, un’ammaccatura sulla fiancata. Incidenti senza conseguenze, possono accadere a chiunque. Ma come reagire quando protagonisti sono i genitori, anziani, al volante? Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano, dice che i piccoli incidenti automobilistici sono «segnali da non sottovalutare». Quando capitano, meglio prendere la questione di petto e affrontare la domanda che più di tutte ha la capacità di mettere in crisi il rapporto fra i settantenni/ottantenni patentati e i figli: mamma (o papà) non sarebbe ora di cominciare a guidare meno?
Gli studi che cercano di dare una dimensione al fenomeno quando parlano di «utenti anziani al volante» si riferiscono a persone dai 65 anni in su. Ma a 65 anni si è ancora nel pieno delle forze: nell’ultimo rapporto Ocse si legge che la maggior parte dei pensionati ha uno standard di vita non diverso da quello dei lavoratori attivi, spostamenti in auto compresi. A 75/85 si può sostenere lo stesso o bisogna avere il coraggio (e la lucidità) di dire basta con la guida, anche se si è in buona salute e i requisiti per il rinnovo della patente ci sono ancora (complici esami spesso non troppo approfonditi)?
Giuseppe Bellelli, professore di Geriatria all’Università Bicocca di Milano, risponde senza esitazioni: «A noi figli cinquantenni viene l’ansia a pensare ai nostri genitori al volante? Cerchiamo di farcela passare, il problema è nostro, non loro». Racconta di suo padre, 91 anni, che ogni estate percorre in auto 900 chilometri per andare al mare. «E non è un caso eccezionale: ce ne sono moltissimi così. La geriatria ha dimostrato che l’età anagrafica è una cosa, l’età biologica un’altra: non dobbiamo fare l’errore di confondere l’età con l’incapacità. Oltre tutto, per esperienza, ho imparato che gli anziani, quando percepiscono di non essere più idonei alla guida, sono i primi a fare un passo indietro».
Una fra le ultime ricerche pubblicate — dell’Università di Swansea, in Galles — sostiene che i 70enni alla guida compiono 3-4 volte meno incidenti della fascia di età fra i 17 e i 21 anni, fanno più errori nei sorpassi e nelle svolte a destra, ma tengono la distanza di sicurezza, scelgono gli orari meno trafficati e soprattutto viaggiano a velocità più basse e non smanettano continuamente con il telefonino mentre guidano (i due comportamenti sbagliati che causano più incidenti). Eppure: in presenza della stessa forza di impatto, un 75enne, rispetto ad un 18enne, incorre in un rischio di mortalità superiore di circa il triplo.
Christian Pozzi se ne occupa dal 2010: lavora come terapista occupazionale alla Fondazione Teresa Camplani di Cremona, 90 posti di riabilitazione per anziani che, una volta dimessi, pongono tutti la stessa domanda: posso tornare a guidare? È stato questo a stimolare il lavoro di ricerca di Pozzi e del suo team (Alessandro Morandi, geriatra, Elena Lucchi e Sara Morghen, psicologhe), che ha portato ad un «pacchetto» di test per risposte il più precise possibili. Si parte dalle interviste ai famigliari — «a volte sono i primi a confessare di non sentirsi sicuri in auto con il congiunto» — per arrivare alla valutazione delle funzioni cognitive e dello stato funzionale, indagando le capacità di attenzione, i riflessi e il grado di autonomia nei gesti quotidiani, eventuali deficit visivi e uditivi, disturbi del sonno, farmaci assunti. Così a Cremona è nato l’Ambulatorio della guida — una punta di eccellenza — a cui la commissione medica incaricata dei rinnovi delle patenti può chiedere una certificazione approfondita sulle capacità della persona anziana. «La patente è garanzia di autonomia — dice Pozzi—. Non è tanto l’auto in sé, ma il poter continuare a fare ciò che si faceva prima: uscire, stare con gli altri».
Fra il tutto e il niente c’è un’ampia gamma di sfumature: «Le normative hanno introdotto strumenti utili, ancora poco utilizzati, che consentono alla motorizzazione di porre delle condizioni al rinnovo della patente — continua Pozzi —. Il documento resta ma, per esempio, niente guida nelle ore notturne oppure su autostrade o strade molto trafficate. Sono formule molto usate all’estero, negli Stati Uniti per esempio. Se tolgo la macchina e riduco l’autonomia, un anziano rischia di andare incontro ad un declino molto più rapido». Un’attenta valutazione dell’età biologica — non limitata ad eventuali malattie, ma ampliata agli aspetti cognitivi e funzionali — è la soluzione, insiste Bellelli. Che usa la parola «ageismo» per stigmatizzare la nostra cultura che fa di tutta l’erba un fascio: «Gli anziani non sono tutti uguali, mettiamocelo bene in testa. E plachiamo le nostre ansie di figli».
Da Corriere.it