Nessuno si illudeva che il percorso sarebbe stato in discesa. Ma chiudere gli ospedali psichiatrici italiani si sta rivelando una strada lastricata di ostacoli. Vuoi per il ritardo con cui le Regioni hanno fatto fronte all’individuazione di strutture alternative all’opg per gli internati residenti nel proprio territorio. Vuoi, soprattutto, perché il flusso continuo d’ingresso di detenuti con vizio di mente in misure di sicurezza provvisoria, vanno così a rallentare il trasferimento dei 75 internati dai tre opg ancora aperti (Montelupo Fiorentino, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto) alle nuove Rems (residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza). Quando non a creare vere e proprie liste d’attesa, ma senza alcun criterio di riferimento. Ma andiamo con ordine.
A più di un anno dalla chiusura ufficiale degli opg, prevista dopo due proroghe al primo aprile 2015, e dopo il commissariamento di sei Regioni inadempienti rispetto al piano di superamento concordato con il governo (Puglia, Calabria, Abruzzo, Piemonte, Veneto e Toscana), tre ospedali psichiatrici su sei sono stati chiusi e lungo il territorio sono nate ad oggi 23 strutture per la presa in carico dei ‘rei folli’. Altre sei verranno aperte (Puglia, Abruzzo, Sicilia, Calabria) o potenziate nel numero ( Volterra in Toscana e Nogara in Veneto) entro i prossimi due mesi. Portando quasi al completo – mancherebbe la Liguria che ha individuato due ipotesi per la Rems provvisoria, in attesa che sia pronta nel 2017 quella definitiva – il piano di superamento degli opg. E persino a chiudere i restanti tre manicomi criminali ancora attivi. In realtà, però, i problemi non mancano.
E anzi rischiano di diventare allarmanti, se non si mette un freno al flusso d’ingresso di nuovi internati. Nelle Rems, infatti, adesso vivono 331 persone, più circa 180 in quella ‘atipica’ di Castiglione delle Stiviere. Anche se la metà di loro – questa l’anomalia rispetto a quanto stabilito dalla legge 81 del 2014, che vede il ricovero in Rems solo come ultima ipotesi – invece sono persone in misura di sicurezza provvisoria, per cui è stata riconosciuta la pericolosità sociale. Un’etichetta che adesso si mette sul petto di troppi detenuti con problemi mentali, ricorda il portavoce del Comitato Stopopg Stefano Cecconi, anche se «in realtà la percentuale di persone socialmente pericolose è di gran lunga sotto il 10%. La paura fa fare grandi errori». Il problema reale, per il cartello di quaranta associazioni che rappresenta, è che «adesso i giudici non hanno più remore a mandare chi ha commesso un reato e ha problemi mentali nelle Rems», luoghi certamente meno orribili degli opg, «usandole come nuovi ospedali psichiatrici e come contenitori per le misure preventive di tutti i casi difficili». Interpretando, così, «in maniera sbagliata la legge». Sia chiaro i numeri non sono certo quelli di qualche anno fa, quando gli internati erano più di 1400.
Oggi in totale non si arriva nemmeno a 750, ma il rischio è che si possa tornare indietro. In più, le molte differenze organizzative e strutturali delle residenze alternative – si passa da quelle modello di Duino Aurisina e Magnago in Friuli, con pochi posti letto all’interno di strutture psichiatriche già esistenti, porte aperte e visite libere a quelle limite di Subiaco e Palombara Sabina nel Lazio e di Castiglione in Lombardia, in cui ci sono sbarre alle finestre e la contenzione come pratica pressoché ordinaria – rischiano di riproporre la logica degli internati di prima e seconda categoria.
L’ennesimo paradosso italiano, insomma. «Se si è rotta la logica manicomiale – aggiunge ancora Cecconi – certe dinamiche vanno superate, per orientarsi davvero sui programmi individuali di cura della persona, sulle misure alternative alla detenzione e sul diritto alla salute in carcere». Liste d’attesa e nodi che, per la Società italiana di psichiatria (Sip), sono in realtà solo in parte imputabili al ritardo nella costruzione delle residenze regionali. Va potenziata «l’assistenza psichiatrica negli istituti di pena, affrontato il problema delle perizie psichiatriche e il concetto di pericolosità sociale – è l’opinione del presidente Claudio Mencacci – supportati adeguatamente i servizi di salute mentale e gli altri servizi coinvolti nell’assistenza territoriale».
Se poi periti e magistratura, «per mancanza di risorse territoriali e di percorsi di sostegno diversi dalla reclusione », continuano a considerare le Rems «come un luogo di detenzione alternativo all’opg – conclude l’associazione degli psichiatri – dove il paziente rimane per un periodo stabilito dalla Giustizia invece che dalla Sanità, non si realizzerà alcun percorso di cura». E così anche i mille posti disponibili nelle Rems alla fine non basteranno.
Da Avvenire