/ Rassegna Stampa

Antidepressivi a bambini e ragazzi. Il rischio (alto) di terapie sbagliate

22 Marzo 2016

Studio internazionale sull’uso di questi farmaci in età pediatrica dal 2005 al 2012.

di Laura Cuppini (lcuppini@rcs.it)

L’uso dei farmaci antidepressivi in bambini e ragazzi è oggetto di uno studio internazionale, che dimostra come in sette anni (2005-2012) sia aumentato del 40% in cinque Paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Olanda). È una tendenza mondiale, anche se meno marcata nei Paesi mediterranei, inclusa l’Italia. Lo studio, pubblicato sull’European Journal of Neuropsychopharmacology, è stato definito «preoccupante» dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In Gran Bretagna il ricorso agli antidepressivi per curare i minorenni è cresciuto del 54%, del 60% in Danimarca, del 49% in Germania, del 26% negli Stati Uniti e del 17% in Olanda. I maggiori incrementi si sono registrati nelle fasce d’età tra 10 e 14 anni e tra i 15 e 19 anni, e i farmaci più utilizzati sono quelli a base di citalopram, fluoxetina e sertralina.

«Depressione va presa subito in carico»

Negli ultimi anni c’è stato anche un aumento delle diagnosi dei disturbi dell’umore nell’infanzia. «Negli Stati Uniti ci sono dei casi segnalati già a 5-7 anni – spiega Ernesto Caffo, neuropsichiatra infantile e fondatore di Telefono Azzurro -, anche se direi che iniziamo ad avere vere diagnosi dagli 8-9 anni in su, più frequenti a 13-14 anni. A livello mondiale il 6% degli adolescenti soffre di disturbi dell’umore». Bambini e ragazzi possono esprimere il loro desiderio di morire o di voler fuggire, magari in situazioni di difficoltà e fragilità. «La cosa importante è prenderli subito in carico – prosegue Caffo -, perché la depressione, se non trattata, può diventare cronica. Il farmaco non è però la soluzione, vi si può ricorrere solo se il supporto offerto dalla famiglia, a sua volta aiutata, e dalla psicoterapia si rivela inefficace, e comunque per un periodo di tempo limitato». Purtroppo anche la risposta alla salute mentale in età adulta è in forte crisi, mancano gli strumenti di aiuto e sostegno, e «nei Paesi dove si sono fatti tagli ai servizi in questo settore – conclude Caffo – è aumentato il ricorso ai farmaci». Secondo lo studio citato sopra, in Gran Bretagna molti medici di base dicono di non avere alternative ai farmaci, dati i lunghi tempi di attesa per accedere alla psicoterapia.

Grande maggioranza di ragazzine

«In tutto il mondo si stima che tra i minorenni (0-18 anni) il 12-13% soffra di disturbi neuropsichiatrici, nella maggior parte dei casi si tratta di ansia e depressione – spiega Maurizio Bonati, a capo del Dipartimento di Salute Pubblica all’Istituto Mario Negri di Milano -. Per quanto riguarda i bambini e adolescenti trattati con psicofarmaci si va dall’1-2 per cento negli Stati Uniti al 4-5 per mille in Europa, fino al dato italiano, che è di circa l’1 per mille (almeno 20mila casi). Per la stragrande maggioranza si tratta di ragazze tra i 12 e i 17 anni: le femmine curate con questi farmaci sono esattamente il doppio dei coetanei maschi. Soffrono di disturbi alimentari, alterazioni dell’umore, disturbi d’ansia o di panico». Per Bonati, lo studio internazionale succitato lancia un messaggio non del tutto veritiero: «In realtà le cose sono cambiate di poco in dieci anni e l’aumento dei casi trattati è stato lieve, parliamo sempre di numeri piccoli per fortuna. Anche se è vero che prendiamo in considerazione solo i pazienti che si curano con il Servizio pubblico, non sappiamo nulla del sommerso: chi si cura in strutture private o non si cura affatto. Ma il problema vero è un altro: ovvero che i farmaci più utilizzati nei minorenni sono spesso inappropriati. Come la paroxetina, il cui uso è fortemente sconsigliato sotto i 18 anni – come ha dichiarato la Food and Drug Administration americana in un “alert” -, perché può fare anche aumentare i casi di suicidio. Invece, essendo il farmaco di riferimento per trattare la depressione negli adulti, viene spesso prescritta anche agli under 18».

C’è farmaco e farmaco

«Tra gli psicofarmaci, e gli antidepressivi in particolare, sono pochi i farmaci con indicazione per l’età pediatrica e comunque nessuno è indicato sotto i 6 anni – continua Bonati -. Come ho detto è molto prescritta la paroxetina (tra i primi 5 farmaci usati in Italia nel trattamento dei minori), anche dai medici di base, ma questo farmaco dovrebbe essere rimborsato dal Servizio sanitario nazionale solo agli adulti: invece spesso né il medico né il farmacista si preoccupa del fatto che il paziente sia minorenne o che la patologia necessiti di un piano terapeutico. Non è un problema di soli costi, ma soprattutto di appropriatezza nella terapia. Anche perché ci sono altri farmaci meno utilizzati – come la sertralina, la fluoxetina, il “vecchio” Prozac – che sono invece più indicati per la fascia di età pediatrica». Recentemente è stato avviato dal Ministero della Salute un apposito Tavolo di lavoro proprio per discutere dell’uso di psicofarmaci nei minorenni, dell’appropriatezza prescrittiva da parte dei medici e dei controlli distributivi da parte del farmacista.

Il supporto della terapia psicologica

Ma perché a bambini e adolescenti vengono prescritti questi farmaci? Qual è il percorso diagnostico che si fa, o che si dovrebbe fare, per evitare terapie sbagliate? «La prescrizione degli psicofarmaci, sia agli adulti che ai bambini, rappresenta uno degli strumenti terapeutici e non sempre dovrebbe essere il primo – spiega Bonati -. In particolare per i bambini i farmaci dovrebbero aggiungersi agli interventi psicologici. Il tutto conseguente a un’appropriata diagnosi fatta da un neuropsichiatra. Il problema – prosegue Bonati – è che la rete dei servizi di neuropsichiatria è totalmente insufficiente in Italia a rispondere alle numerose richieste, per cui non tutti possono accedere in tempi brevi ai servizi e i bisogni rimangono disattesi. Le liste d’attesa nelle strutture pubbliche sono lunghe e il ricorso al privato incontrollato aumenta. In tale situazione, sebbene le prescrizioni di psicofarmaci siano inferiori rispetto ad altri Paesi (perché in Italia prevale una cultura conservatrice all’uso degli psicofarmaci per i bambini e lo stigma di disturbo psichiatrico anche in età evolutiva rappresenta un enorme carico sia per il paziente che la famiglia) il percorso terapeutico spesso non è quello più appropriato. E questo comporta anche il considerare quei casi in cui la prescrizione del farmaco rappresenta la risposta più rapida e meno costosa, rispetto a cicli di terapia psicologica».

Efficacia dell’approccio cognitivo

Anche per Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’ASST-Fatebenefratelli-Sacco Milano e presidente della Società italiana di psichiatria, quello della rete di supporto neuropsichiatrico o psicologico è un grosso problema: «La psicoterapia cognitiva (attualmente l’approccio riconosciuto come maggiormente valido) fa sì che il giovane riesca ad avere maggiori strumenti per riconoscere le emozioni e mettere uno spazio (anche di pensiero) tra emozioni e azioni – spiega Mencacci -. Per questo servono sia psicologi che psichiatri adeguatamente formati per questo tipo di psicoterapia, ma al momento in Italia non c’è grande offerta. Ci sono delle scuole che stanno crescendo nell’ultimo decennio, e nell’attesa si seguono altri tipi di approcci che non hanno le stesse prove di efficacia».

Sulla bilancia rischi e benefici

Mencacci sottolinea l’importanza di affiancare l’eventuale terapia con farmaci al supporto psicologico: «Già nel 2005 un nota dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) mette un allarme sulla prescrizione di psicofarmaci a bambini e adolescenti e un importante studio del 2004 pubblicato sul British Medical Journal dimostrava che, tranne nei casi gravi di depressione, è consigliabile non prescrivere antidepressivi a bambini e ragazzi. In ogni caso, prima di dare farmaci, ci deve essere l’ascolto e la valutazione clinica del caso e poi bisogna mettere sulla bilancia rischi e benefici: da un lato c’è un patologia invalidante che ha ripercussioni anche sullo sviluppo cognitivo e relazionale, dall’altro va considerato che nell’infanzia e adolescenza sono in fase di maturazione alcune aree cerebrali già orientate a un aumento dell’impulsività e che con alcuni antidepressivi potrebbe ulteriormente crescere questo aspetto, fino ad arrivare a una notevole aggressività verso se stessi o gli altri».

Fondamentale il sostegno alla famiglia

«Conosciamo esordi della depressione, del disturbo bipolare e delle psicosi anche prima dei 12 anni, dunque serve molta cautela – conclude Mencacci -. Va sempre tenuta presente l’indicazione di psicoterapia di tipo cognitivo e di interventi educazionali nei confronti dei genitori, perché la maggior parte dei disturbi mentali (circa il 70%) compare nell’adolescenza o comunque entro i 25 anni. Esiste purtroppo anche la depressione nell’infanzia, colpisce allo stesso modo bambini e bambine: è chiaro che va trattata, ma con il massimo dell’attenzione e del supporto, anche alla famiglia».

 

Da Corriere.it

 

elenco Rassegna Stampa