«Di solito sto benissimo da solo e invece, ora che siamo in zona rossa, ho voglia di vedere gente: sono proprio fatto al contrario». Antonio confida il suo desiderio impossibile con un sorriso a mezza bocca. Per capirne fino in fondo l’ironia, va detto che il tradizionale isolamento di Antonio è figlio anche di una grave patologia psichiatrica che, come tutti i disturbi della mente, impatta in modo pesante sulle relazioni sociali.
È da tempo che gli esperti cercano di accendere un faro sull’aumento dei problemi di salute mentale causati dalla pandemia, ma si è raccontato ben poco di come l’hanno vissuta e la stanno vivendo le persone che erano già affette da patologie di questo tipo. Non è strano: i “matti” sono da sempre i più invisibili tra gli invisibili. La definizione stessa è associata a uno stigma impastato nella mancata conoscenza. Le migrazioni e la globalizzazione ci hanno mescolato alimentando intolleranze ma anche sfatando miti e pregiudizi su popolazioni lontane. Le persone con disturbi psichici invece, pur essendo tra di noi, sono ancora immerse in un alone di mistero, guardate con la lente distorta di vecchie nozioni da romanzo d’appendice, come se considerassimo un cannibale chi viene dall’Africa.
Eppure proprio gli effetti collaterali della pandemia ci stanno insegnando che il disagio psichico è una patologia come le altre che, semplicemente, può capitare a chiunque, come ogni malattia. La Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf) suggerisce il termine “sindemia” che indica l’epidemia sinergica di più patologie, anche di tipo sociale, un fenomeno che infetta il corpo e anche la mente. «Metà delle persone contagiate — stimano dalla Sinpf — manifesta disturbi psichiatrici con un’incidenza del 42% di ansia o insonnia, del 28% di disturbo post-traumatico da stress e del 20% di disturbo ossessivo-compulsivo; inoltre il 32% di chi è venuto in contatto col virus sviluppa sintomi depressivi, un’incidenza fino a cinque volte più alta rispetto alla popolazione generale».
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