Lo sentite questo silenzio? Sono le 18 e dai balconi non canta nessuno. Riavvolgiamo il nastro di dodici mesi, puntiamo le lancette alla stessa ora. Borrelli sentenziava il numero delle vittime causate dal covid mentre al cielo si levavano cori di speranza. Dalle case dove eravamo reclusi per il primo lockdown, cantavamo all’unisono con lo sconosciuto vicino, trovando conforto in quel calore che per un tempo ancora indefinito non sarebbe potuto essere fisico. È trascorso un anno da allora e sul balcone è rimasta appesa una bandiera con l’arcobaleno, come un residuato bellico dimenticato. I colori sono sbiaditi ma la scritta si legge ancora: “Andrà tutto bene”. Ora che l’Italia si è ridipinta di rosso in maniera quasi omogenea, che ci viene chiesto nuovamente lo sforzo di rinunciare alle nostre libertà per un bene più grande, l’urlo di resistenza del primo lockdown si trasforma in domanda: ce la faremo?
Non siamo più quelli della Fase 1, non è solo il silenzio dei balconi a raccontarcelo. Gli aperitivi su Zoom non sono prassi quotidiana, il pane lo compriamo al supermercato, i ginnasti occasionali hanno abbandonato le velleità sportive che la prima volta promettevano una splendida forma fisica da sfoggiare “quando tutto sarà finito”. Con l’estate, non è finita. Con l’inverno, è ricominciata peggio di prima. E rieccoci qui, su quei balconi silenziosi, che non hanno più voglia di cantare con l’altro. “Non siamo più gli stessi” dice ad Huffpost il dottor Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e Past President della Società Italiana di Psichiatria “Sono cambiati i nostri modelli di vita, le nostre relazioni umane, le interazioni con le istituzioni. C’è stato un lento e progressivo logoramento e una lacerazione”.
Logoramento perché la partenza spedita – che doveva nelle illusioni essere preavviso di una corsa breve – ha lasciato il passo a una maratona, con accrescimento della fatica. Lacerazione perché la nostra capacità di fare rete con gli altri si è affievolita: “Ora c’è maggiore isolamento, individualismo e scollamento tra le persone. Mi manca di vedere la solidarietà di una comunità che sente che ne sta uscendo e vuole uscirne insieme e non ognuno per i fatti suoi. Chi svolge un ruolo istituzionale ha il compito di facilitare questi comportamenti”.
Da un anno a oggi di cose ne sono cambiate anche in politica e la comunicazione istituzionale non è la stessa di prima. “Stiamo lontani oggi per abbracciarci più forte domani” diceva Conte girando a doppia mandata il lucchetto apposto alla porta delle nostre case. Questa volta nessuna conferenza stampa, a nessun volto abbiamo associato la sentenza di clausura forzata. “Mi aspetto che Draghi faccia sentire ancora di più che siamo un popolo e che questo popolo ha delle guide che pensano a lui e lo sanno portare in situazioni di sicurezza” dice il dottor Mencacci in proposito “Una comunicazione sobria, ma partecipata credo ci sia di grande aiuto. Ora è compito di tutti dare informazioni più chiare e trasparenti possibili per dissipare i timori dei cittadini: la paura va contrastata con la scienza e dati sicuri”.
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