Lo hanno chiamato« jet lag sociale » . Si tratta dell’aumento dei disturbi del sonno esploso durante la pandemia e il riferimento è al noto fenomeno del jet lag, cioè ai problemi di sonno e di ambientamento che colpiscono chiunque faccia un volo intercontinentale cambiando fuso orario e stagione. La nuova definizione è stata coniata dagli specialisti riuniti online al 22° congresso SINPF, la Società Italiana di Neuropsicofarmalogia .
«Con l’arrivo della pandemia è un po’ come se tutti fossimo saliti a bordo di un aereo che non atterra mai, alterando così i nostri ritmi sonno-veglia » spiega l’ex-presidente della SINPF, Giovanni Biggio dell’Università di Cagliari che ha illustrato questo problema questo al convegno intitolato »Quando Tutto Cambia»
«Questo volo senza scalo assomiglia alla costrizione in casa impostaci dal lock-down in cui si perde il ritmo delle abituali attività di vita e di lavoro e i rapporti sociali. Il naturale alternarsi del ciclo luce-buio che favorisce sonno e ritmi di vita è il principale fattore perduto: non ci si alza più alla solita ora per andare in ufficio o a scuola e la sera ci si attarda alla TV o al computer. La continua esposizione alla luce artificiale di casa o a quella blu degli schermi TV o dei PC usati in smart-working, mette in crisi l’epifisi, la ghiandola posta dietro la fronte che, in risposta agli stimoli luminosi naturali, produce l’ormone dei ritmi del sonno chiamato melatonina che sale la sera e scende il mattino».
A proposito dell’esposizione alla luce blu da TV uno studio indio-asiatico pubblicato quest’estate su Psychiatry Research riporta la crescita del cosiddetto “binge watching”, cioè delle abbuffate televisive, un comportamento patologico che nel sud-est asiatico durante il lock-down è aumentato fino al 73,7%. Chi ne è colpito passa la giornata al teleschermo, in oltre la metà dei casi per noia (52,6%), in un quarto per ridurre lo stress e nel 15,7% per vincere la solitudine, guardando per almeno 5 ore consecutive soprattutto notiziari (69,2%) o programmi di you-tube (52,7%). Questa cyber-psicopatologia procura affaticabilità cronica, irritabilità, disturbi dell’umore, ridotta efficienza lavorativa e una significativa interferenza col sonno. Il disturbo è noto anche in USA dove secondo dati Statista, la principale business platform mondiale, il 70% circa di chi ha fra 18 e 44 anni guardava a ripetizione show televisivi e film (in quasi la metà dei casi donne: 49%). Il 90% di tutti i binge-wiever, cioè chi si “abbuffa” di televisione, riporta disturbi del sonno e molti passano addirittura intere notti in bianco a guardarla.
Ma c’è un altro fenomeno emerso durante il lock down che risponde agli stessi meccanismi delle abbuffate televisive: quello delle abboffate di cibo. I ricercatori del MIT diretti da Rebecca Saxe ne hanno fornito la prova con risonanza magnetica funzionale su Nature Neuroscience.I ricercatori hanno dimostrato che il distanziamento sociale ha indotto un eccessivo desiderio di cibo dovuto all’iperattivazione di particolari aree cerebrali, un concetto che gli autori allargano anche alla socialità: la fame di rapporti con gli altri.
A governare questa “fame” sono sia le strutture alte della corteccia cerebrale, sia quelle più basse del mesencefalo col suo sistema limbico, evolutivamente più antico. Ma se al cervello limbico per placare la fame basta mettere qualcosa sotto i denti, la »fame» corticale è più selettiva, un po’ come quando torniamo dagli USA e quello che ci manca davvero è un buon espresso e una vera pastasciutta. E lo stesso vale per i rapporti sociali: in questi giorni ci mancavano tutti, ma sempre qualcuno in particolare. «Lo stress da solitudine imposta dall’isolamento –spiega Biggio- dopo 10-12 ore attiva il desiderio di cibo e della gratificazione che ci deriva dal suo consumo in virtù delle connessioni con la corteccia frontale e prefrontale». Se poi consideriamo che fame e stress sono regolati dalla stessa regione limbica chiamata ipotalamo che li mantiene sui piatti opposti della stessa bilancia è facile comprendere come lo stress indotto dalla pandemia si associ all’insonnia nel far aumentare il desiderio di cibo.
Opportuna appare dunque l’approvazione da parte dell’EMA di una nuova terapia che ripristina in maniera naturale i cicli perduti di sonno, un effetto che può riequilibrare anche questi piatti della bilancia ipotalamica. Si tratta della melatonina a rilascio prolungato che, seguendo la stessa curva di diffusione sera-mattino di quella naturale dell’epifisi, ripristina un sonno fisiologico, riducendo il fenomeno della cosiddetta “inerzia morfeica da sonniferi” ( cioè l’intontimento che segue a una dormita indotta farmacologicamente )e migliora del 55% la qualità del risveglio, finora pessima in oltre la metà degli adulti che fanno uso di sonniferi, una percentuale raddoppiata col lock down coinvolgendo anche classi d’età inferiori ai 55 anni.
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