Sono attivi nella vita sociale e familiare, eppure gli over 70 si sentono pessimisti sul futuro: uno su due pensa che la società tenda ad emarginare le persone più avanti con gli anni, uno su cinque si sente adeguatamente compreso e assistito. Inoltre, un anziano su cinque non sa cosa siano le Dat (Disposizioni anticipate di trattamento) e chi le conosce pensa che il proprio testamento biologico debba essere affidato a familiari (67%) e al medico di famiglia (30%). Questi dati emergono da un’indagine condotta da Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, presentata nel corso del convegno «Invecchiamento attivo e autodeterminazione per il fine vita: strategie di tutela dell’anziano».
In Italia sono oltre 13 milioni gli over 65 e, secondo dati Istat, il 77,2% ha almeno una malattia cronica e solo il 36,6% è in buona salute. Considerando che entro il 2050 il numero di anziani dovrebbe raddoppiare, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è sempre più importante per far fronte a questa emergenza sanitaria e sociale promuovere un “invecchiamento attivo” che tenga conto non solo della salute ma anche della partecipazione sociale e della sicurezza dell’anziano.
«Quello che gli anziani temono di più è l’impossibilità di vivere la vita degnamente insieme alle difficoltà che l’invecchiamento comporta e alla disabilità ad esso associate», spiega Francesca Merzagora, Presidente Onda. «È importante preservare dunque oltre la salute anche la rete sociale che è uno straordinario strumento di protezione e garantire la possibilità di scelta e autodeterminazione rispetto alle ultime fasi della vita».
Per aiutare le famiglie a scegliere, c’è il progetto di Onda Bollini RosaArgento, che attribuisce un riconoscimento alle Residenze Sanitario-Assistenziali (RSA) in possesso dei requisiti necessari per garantire non solo una gestione efficace e sicura dell’ospite, ma anche un’assistenza umana e personalizzata. www.bollinirosargento.it
Il progressivo invecchiamento della popolazione impone a ciascuno di fare del proprio meglio per invecchiare il meglio possibile, per il bene di ciascuno e della collettività intera. Una nuova responsabilità ad adottare uno stile di vita volto al mantenimento di «una condizione caratterizzata da: basso rischio di malattia e disabilità ed essa correlata, elevata riserva funzionale e cognitiva e una vita attiva, partecipata e produttiva» ha spiegato Luigi Bergamaschini, Professore Associato in Medicina Interna, Università degli Studi di Milano e Direttore dell’Unità di riabilitazione Neuro-motoria al Pio Albergo Trivulzio. Queste tre condizioni sono anche alla base delle attuali politiche sociosanitarie.
Un aspetto da affrontare è quello della solitudine, che ha un’influenza sullo stato di salute. L’assenza di contatti sociali e soprattutto i sentimenti di solitudine aumentano il rischio di demenza. Avere tante relazioni sociali positive protegge dal rischio. Infatti, «studi longitudinali indicano come un rapporto povero o conflittuale con il coniuge o l’assenza stessa di un partner siano associati più frequentemente a episodi depressivi in età senile nel sesso maschile» ha detto Claudio Mencacci, Direttore Dipartimento Salute Mentale e Neuroscienze, ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano. «Risulta inoltre rilevante il supporto amicale (71% degli studi) in età avanzata, mentre il supporto dei familiari (non coniuge) risulta invece meno rilevante (36% degli studi) nel proteggere da episodi depressivi».
«Assistiamo a una profonda trasformazione delle società e a drammatici cambiamenti demografici», conclude Gilberto Corbellini, Direttore Dipartimento di Scienze Sociali e Umane del Consiglio Nazionale delle Ricerche. «Grazie al progresso della medicina le persone vivono molto più a lungo o possono essere tenute in vita in condizioni prima impensabili. Spesso però l’esistenza può risultare caratterizzata da grandi sofferenze. La legge di recente approvata sulle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) che da ai pazienti la possibilità di decidere quando e come evitare queste sofferenze, è indubbiamente una conquista che porta finalmente l’Italia a livello delle altre nazioni più civili». «La nuova legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento ci dice che – ha concluso la senatrice Emilia De Biasi, presidentessa della Commissione Igiene e Sanità del Senato – la sofferenza non è un destino inevitabile, parla di diritto a non soffrire, di diritto alla dignità nella sofferenza, di diritto a non essere trattati come cavie, della centralità della persona, del rispetto della sua privacy. Finalmente abbiamo una legge che tutela la dignità del nascere, dignità del vivere e anche dignità del morire».
Da La Stampa