“Il nostro futuro sono gli 8 milioni di giovani dai 12 ai 25 anni che vivono in Italia, di cui 1,3 mln in Lombardia e poco più di 400 mila nella città metropolitana di Milano”. Ne è convinto Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze e salute mentale dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, che accende i riflettori su minacce vecchie e nuove che stanno mettendo sotto attacco il cervello degli adolescenti. Proprio a questa fase della vita è dedicato il libro ‘Quando tutto cambia. La salute psichica in adolescenza’ (Pacini Editore), scritto dall’esperto insieme allo psichiatra Gianni Migliarese (Fbf) e presentato oggi nel capoluogo lombardo.
Un viaggio che guarda al futuro, al mondo nuovo con cui giovani nati con la tecnologia come compagna di culla devono fare i conti. Sotto accusa finisce in particolare l”insonnia tecnologica’ che sta mettendo a rischio lo sviluppo cerebrale degli adulti di domani, e le nuove dipendenze più impalpabili di quelle da sostanze che pure continuano in forma sempre nuova a minacciare i teenager. La nuova droga ‘invisibile’ ha mille fonti: “Internet, smartphone, gambling, social network, pornografia, videogiochi online e non”, elenca Mencacci. Come tante sono le forme di questa dipendenza crescente dalla tecnologia. “Alcune sono diventate famose: nomofobia (paura di rimanere sconnessi), Fomo (paura di essere tagliati fuori dai social), ringxiety (ansia da smarphone), textiety (ansia da messaggio), vamping (ore notturne trascorse sui social media)”.
Un unico filo conduttore: “Mantengono in un costante stato di allerta, giorno e notte, senza tregua, senza differenze – spiega lo specialista – E’ una nuova dimensione. E oggi sappiamo che emergono alterazioni a livello della struttura cerebrale, che sono sovrapponibili alle dipendenze da stupefacenti e insistono sulle stesse aree cerebrali. Tanto che una delle più grosse studiose mondiali del settore, Nora Volkow, si chiede se i teenager stiano diventando più dipendenti dalla Rete che dalle sostanze”. Oggi, incalza Mencacci, “sta crescendo la depressione fra i giovani. I dati estrapolati da uno studio del 2016 su quelle che sono le prospettive in Italia sul fronte dei disturbi importanti d’ansia e depressione dai 18 ai 25 anni, ci portano a una stima attorno a 900 mila persone, circa 140 mila in Lombardia e poco più 40 mila nell’area di Milano. Con differenze di sesso importanti, che pesano sulle ragazze. Numeri che devono farci pensare”.
“I dati ci raccontano che pochi giovani fanno attività fisica, molti hanno un grande utilizzo del pc già dai 14 anni in poi. Il 10% si dice insoddisfatto della propria vita, e questo vuol dire che circa 800 mila giovani inviano un segnale d’allarme”. Mencacci si chiede cosa è possibile fare per prevenire il tilt. “Qualcosa non funziona: oggi c’è grande attenzione alla gravidanza e all’infanzia, ma vediamo che via via si allenta nella fase dell’adolescenza. Anzi, il rischio è che si trasporti l’infantilizzazione nell’adolescenza”. Non ci si rende conto, aggiunge Migliarese, che “non è soltanto una fase di transizione psicologica, ma di indispensabili cambiamenti neurobiologici. E’ uno dei periodi in cui la plasticità è maggiore: c’è una grandissima operazione di rimodulazione dell’organizzazione cerebrale, ci sono fenomeni di sfoltimento sinaptico, un processo che punta a formare connessioni ad alta velocità”.
Cambiamenti che, aggiunge Mencacci, “portano con sé emozioni, sentimenti, scelte di vita e tutto quello che poi avverrà nel futuro”. Migliarese mette l’accento sugli aspetti positivi dell’adolescenza: “Un periodo di grande ricchezza e di potenzialità, in cui si definiscono e strutturano le modalità di funzionamento dei ragazzi. E’ necessario investire su questa fascia d’età per il benessere globale della società. E’ responsabilità di tutti gli adulti prenderci cura di questo spazio di passaggio”, in cui si strutturano competenze intellettive, affettive, relazionali, si impara la gestione delle frustrazioni e del rapporto col piacere e la gratificazione. Una porta verso il futuro.
Gli esperti si focalizzano su quello che Mencacci definisce “il primo killer” del cervello giovane: la carenza di sonno. “A 18 anni il 75% dei ragazzi dorme meno di 8 ore, il 10% dorme meno di 6 ore”. Si comincia fin da bambini, “con una sempre maggiore esposizione a sostanze stimolanti. Uno studio mostra che l’insonnia è presente nel 10% dei casi. E la deprivazione di sonno, soprattutto se cronica, porta conseguenze. Il tempo trascorso svegli influenza il numero delle sinapsi che si formano o che vengono eliminate nel cervello dell’adolescente. C’è una difficoltà a gestire situazioni di adattamento a stress crescenti, anche le dinamiche di ansia e depressione sono strettamente legate alla quantità e qualità del sonno”.
Ci sono “conseguenze cognitive legate al mancato riposo, che vengono poi aumentate anche dall’utilizzo di sostanze”, continua Mencacci. “Un fenomeno dal quale pensiamo a torto di essere al riparo, rispetto ad altri Paesi. Invece ce la giochiamo con i francesi sugli stili di vita peggiori sia nell’area di utilizzo della cannabis che delle nuove sostanze psicoattive”.
I ragazzi vivono in bilico fra stimoli evolutivi e tossici. La tecnologia ha un ruolo cruciale in questo. “Siamo tutti collegati, informati, sapienti, ma apprendere più notizie non è conoscere. Vediamo anche giovani genitori che imparano dal web a fare i genitori. Si è interrotta la catena di trasmissione generazionale, la capacità di essere spontanei nel comunicare le informazioni, le relazioni sociali”. Il ruolo della famiglia è invece fondamentale per gli adolescenti, ammonisce lo psichiatra: “Devono riuscire a conoscere il loro mondo e i rischi a cui sono esposti e non sono sostituibili, questo demandare a istituzioni e situazioni esterne non funziona. Ma se il genitore stesso non ha superato la sua adolescenza, quando figlio la attraverserà non ce la farà. C’è una crisi generazionale in corso”.
La protezione del cervello degli adolescenti si articola a diversi livelli: “Servono un’alleanza, clinica e scientifica, ma anche organizzativa; interventi sulla popolazione e sulla scuola per la promozione della salute psichica; politiche sociali; riconoscimento precoce dei segni di malattia. Su quest’ultimo punto non va sottovalutato il fatto che la familiarità esiste ed è molto pesante nell’area della salute mentale”. Per Mencacci “dovremmo iniziare a pensare a programmi di prevenzione, in un modo simile a come succede oggi per le giovani donne con familiarità per il tumore al seno”.
Da ADNKronos