ROMA – Un’Italia divisa tra solitudine e isolamento sociale.
L’istantanea è stata scattata dall’ultima ricerca dell’Eurostat, in cui si rileva che più di un italiano su dieci si sente isolato. Il 12% delle persone dai 16 anni in su, infatti, dichiarano di non aver nessuno a cui chiedere aiuto nel momento del bisogno; il 13% non trova nessuno con cui parlare dei propri problemi. Un dato doppio rispetto alla media europea che si attesta al 6%.
A distinguere le due condizioni è Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria, interpellato dall’agenzia Dire: “Se l’isolamento è legato al non poter chiedere aiuto al proprio vicino di casa, quando spostiamo l’attenzione sul sentimento di solitudine dobbiamo tenere conto che veniamo da un mondo di stretti nodi familiari– spiega lo studioso- Siamo passati da realtà molto circoscritte a realtà decisamente più allargate. Si sono quindi raccolte due visioni dell’Italia: da un lato, un Paese cambiato, che guarda di più al resto del mondo; dall’altro, un Paese ancora legato a modelli che non corrispondono più alle necessità di mobilità e alle reti oggi necessarie. A questo va aggiunto che l’allentamento delle reti sociali, la perdita del senso di solidarietà e l’aumento dell’individualismo sono fenomeni più recenti nel nostro Paese rispetto ad altri Stati europei”.
Non è dunque il fattore economico a giocare di più, secondo Mencacci, quanto la fase di ‘transizione’ che l’Italia sta attraversando.
“Accanto a Paesi che con la crisi hanno sperimentato una sofferenza palpabile, come la Grecia, ci sono Paesi che hanno reagito in maniera molto positiva e propositiva, come la Spagna, meno rivendicativa e lamentosa dell’Italia- sottolinea Mencacci- Direi che quello economico non è un fattore che influisce, il problema sta piuttosto nella differenza tra società più stabili e società maggiormente in transizione e in cammino”.
E a dimostrare che il fattore economico non incide sul senso di isolamento è anche il dato Eurostat sul Lussemburgo, che doppia con l’Italia la media Ue, mentre proprio la Spagna, che ha vissuto una crisi simile a quella italiana, si ferma al 2%.
“Sta aumentando la percezione dello scollamento tra generazioni rispetto alla questione dell’emigrazione dei più giovani- sottolinea l’esperto- che porta a un cambiamento del ruolo della famiglia e dei rapporti sociali. Sta aumentando anche la percezione della solitudine legata all’idea che ci portavamo dietro di essere un Paese ipersolidale, quando invece siamo un popolo che festeggia solo quando vince la Nazionale”. Un raddoppio che, secondo Mencacci, non è legato all’aumento di patologie come ansia e depressione, “che vedono l’Europa a livelli similari e l’Italia a livelli più bassi. Come dicono altrove, siamo i brasiliani d’Europa- aggiunge lo psichiatra- un popolo che spesso enfatizza le proprie emozioni e passa da situazioni di grande emotività in su e in giù, con una tendenza a lamentarsi e a manifestare molto di più le problematiche rispetto alle soluzioni”.
È la concezione di solitudine ad essere cambiata: “Sicuramente viene vissuta come un fatto angoscioso, negativo. Non viene riconosciuta come una condizione di scelta- ribadisce Mencacci- e probabilmente c’è un legame con i cambiamenti dei modelli di consumo e degli atteggiamenti dell’individuo nei confronti della propria comunità”.
Comunità che non è più reale, ma sempre più spesso virtuale: “La community è l’esempio tangibile di come le persone desiderino più vedersi nella virtualità che nella realtà. Preferiscono sentirsi lontani da condizioni emozionali molto più variabili di quelle che si sperimentano in comunità, dove le emotività trascinano verso condizioni di inibizione e di gratuita rabbia e aggressività verbale. Non sono comunità di per sé solidali se non a parole- chiosa l’esperto- spesso giudicano o criticano, ma tolgono alla critica quella variazione empatica o emotiva che può essere colta nei suoi aspetti positivi. Nel virtuale si percepisce solo il senso crudo delle parole. Diventa sempre più vicino un futuro in cui sarà più facile avere relazioni con un’intelligenza artificiale”.
Un modello di società che “vedevamo rappresentata nei film coreani o giapponesi, in cui la distanza tra generazioni era marcata e il senso di isolamento e solitudine combaciavano. Dico questo perché la solitudine può essere una scelta, mentre l’isolamento è condizione. Ma la comunità virtuale- conclude il presidente della Sip- non risolve la necessità di una solidarietà reale fatta di presenza, ascolto, contatto, di tutte quelle cose che ci consolano e ci aiutano”.
di Annalisa Ramundo, giornalista
Da DIRE