Curare alcune forme di depressione attraverso una terapia cognitiva-comportamentale può essere fatto anche utilizzando un’applicazione. Questo è lo studio che hanno realizzato i ricercatori del Mount Sinai Hospital di New York e di cui hanno presentato i risultati alla recente convention annuale della Society of Biological Psychiatry.
Mostrando ai pazienti volti di persone di cui dovevano riconoscere le emozioni e facendo ricordare il numero di volte in cui quella stessa emozione era già stata incontrata in precedenza, gli studiosi sono riusciti a ridurre del 42% i sintomi del disordine depressivo maggiore. Questo grazie a una rinormalizzazione dell’attività in diverse aree del cervello.
PROCESSI COLD E HOT
«Esistono due tipi di processi cognitivi coinvolti nella depressione: quelli cold e quelli hot. I primi riguardano l’attenzione, le funzioni esecutive e la memoria e in questi non interviene l’emotività – spiega il medico psichiatra Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli- Sacco di Milano – I processi hot sono invece influenzati dalle emozioni: in questi casi aumenta la percezione delle cose negative e la persona ha più attenzione verso espressioni facciali di tristezza».
Da un punto di visto dell’attività delle aree cerebrali, in una situazione del genere si osserva una risposta esagerata dell’amigdala ai volti che mostrano emozioni negative. Allo stesso tempo si riscontra una riduzione della risposta nella corteccia prefrontale dorsolaterale che normalmente è fondamentale per il controllo e la regolazione degli stimoli avversi.
Gli studiosi hanno così utilizzato un’applicazione per mostrare le facce di individui di cui i pazienti dovevano riconoscere le emozioni. Un modo per portare a una rinormalizzazione nelle persone depresse della loro capacità di osservare e individuare negli altri anche gli stati d’animo più positivi, superando quello che era un vero e proprio bias di riconoscimento.
L’UTILITÀ DELLA TERAPIA COGNITIVA
«La terapia cognitiva – comportamentale tende a contrastare questa disarmonizzazione che si verifica nei processi cognitivi hot – prosegue Mencacci – Di fronte a una percezione di sole informazioni negative si cerca di costruire un metaforico muro fatto anche di stimoli positivi che possono aiutare a contrastare gli altri».
Non è un caso che gli studiosi abbiano riscontrato un miglioramento del 42% dei sintomi della depressione nei pazienti sottoposti alla terapia cognitiva. Questo perché si riesce a stabilire un maggiore equilibrio tra le aree cerebrali, con un aumento del controllo della corteccia prefrontale e una diminuzione dell’attività dell’amigdala. Ma in certi casi il training cognitivo da solo non basta e bisogna comunque ricorrere a terapie farmacologiche.
«Nelle forme di depressione sottosoglia e lievi le psicoterapie cognitive hanno una funzione equivalente a trattamenti medici, mentre nelle forme medie e gravi non sono sufficienti – conclude Mencacci – Anche gli antidepressivi agiscono sui processi cognitivi hot, portando a un aumento degli stimoli positivi e a una diminuzione di quelli i negativi. Lo fanno però con dei meccanismi down-top, cioè attraverso la regolazione dei circuiti neurotrasmettitoriali».
Da LaStampa