La causa può risalire a un forte stress o a una trauma e provoca un buco di memoria Attenzione a segnali come difficoltà a concentrarsi e ricordare le cose, sonno disturbato.
Non è ancora il momento di azzardare diagnosi. Tutto lascia però pensare che nell’ennesima tragedia dei bimbi dimenticati in auto , e poi deceduti, sia entrata in gioco una sindrome che gli psichiatri conoscono molto bene: si chiama amnesia dissociativa. Dal 2008 a oggi, le cronache hanno registrato altri sei casi analoghi a quello che si è verificato ad Arezzo. In uno di questi, una perizia psichiatrica ha per così dire certificato che il padre «al momento del fatto era completamente incapace d’intendere e di volere per il verificarsi di una transitoria amnesia dissociativa». Si tratta di casi rari, per fortuna, ma per il professor Claudio Mencacci , direttore del Dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano, sono comunque “campanelli d’allarme”, da non sottovalutare «per la drammaticità dell’evento e per le conseguenze che hanno anche per la famiglia e per tutte le persone vicine».
Di che cosa parliamo, allora, riferendoci all’amnesia dissociativa? «Parliamo di una sconnessione delle funzioni, che di solito sono integrate, della coscienza dalla memoria oppure dalla percezione — spiega il professo Mencacci — . A volte la nostra corteccia cerebrale vien “deaferentata”, cioè tagliata fuori, e le persone vengono sconnesse e hanno un vero e proprio buco di memoria. Si tratta di una perdita completa delle nozioni del tempo e del ricordo, legata solitamente a eventi traumatici o a un forte stress». Difficile però ammettere che ci si possa dimenticare del proprio figlio… «Si tratta di un’amnesia circoscritta, in cui la persona non è in grado di ricordare cosa è accaduto nell’arco di poche ore », aggiunge il professor Mencacci .
C’è la possibilità di diagnosticare la sindrome? «Per farlo vanno prima di tutto escluse alcune condizioni patologiche, ovvero la presenza di una crisi epilettica, la sindrome dell’amnesia globale transitoria, un trauma cranico o l’assunzione di sostanze psicotrope – continua Mencacci -. Una volta che il si è escluso queste eventualità, si può valutare la possibilità dell’amnesia dissociativa, che un tempo veniva definita “psicogena”, in base a una serie di informazioni. Peraltro in questi casi è necessario escludere anche l’amnesia simulata (o sindrome di Ganser), molto comune per esempio tra i carcerati». L’amnesia dissociativa porta perciò ad essere solo fisicamente presenti nel momento in cui si manifesta e , probabilmente a causa di un forte trauma o stress, quel momento viene cancellato senza averne la benchè minima consapevolezza. «Può accadere che l’oggetto di questa amnesia sia ciò che di più caro sia ha al mondo, come un figlio o anche se stessi — spiega Mencacci —: ci sono casi di persone che, preda di questa condizione, tentano il suicidio o si infliggono delle mutilazioni, in modo assolutamente non volontario. In altri casi, chi ne soffre butta nella pattumiera denaro, o gioielli».
Quali traumi e stress possono portare fino a questo punto? «Il numero di casi segnalati di amnesia dissociativa aumenta per esempio dove ci sono eventi catastrofici, come terremoti o guerre – risponde Mencacci -. Ma bisogna tenere presente che la soglia dello stress è individuale: uno stress che per alcuni è lieve può essere molto pesante per altri. Consideriamo che lo stress patologico fa aumentare il rischio di infarti ed emorragie cerebrali: questo fa capire quanto sia preoccupante». Quali sono i segnali di uno stress “oltre i limiti”? «Una progressiva difficoltà di concentrazione e di memoria, il sonno disturbato, irritabilità rispetto ai cambiamenti, la tendenza a fare cose “in automatico”, senza pensarci: sono tutti segnali che devono far suonare un campanello d’allarme, cosa che probabilmente non è accaduta al papà di Piacenza».
Se la memoria resta «congelata» forse appunto l’installazione di dispositivi nelle auto che la risveglino, segnalando la presenza di un bambino nel seggiolino potrebbe davvero essere la soluzione. «Sono d’accordo — dice Mencacci —, aiutiamo la nostra memoria. Perché l’effetto dello stress, ormai lo sappiamo, è quello di agire proprio sui meccanismi della memoria. Dunque qualunque dispositivo in questo senso è prezioso: è come attaccare un post-it o scrivere la lista della spesa. E in questo caso non parliamo di piccoli impegni quotidiani, ma dei nostri figli».
Da Corriere.it