ROMA. Le indagini sulla morte di Emanuele Morganti, il ragazzo di 20 anni massacrato di botte fuori da un locale di Alatri, in provincia di Frosinone, sono quindi arrivate a una svolta.
«L’uccisione di questo ragazzo – spiega Claudio Mencacci, medico psichiatra e presidente della Società Italiana di Psichiatria – presuppone una condizione sociale in cui l’imposizione attraverso l’aggressività diventa lo strumento principale per imporre la propria volontà. In questo caso la vittima è un giovane che presenta nella sua normalità il rispetto e la difesa di una donna, diventando quindi un soggetto da aggredire e sopraffare. È proprio sotto questo profilo – il provare empatia e rispetto, una difesa nei confronti dei propri sentimenti e legami – che il ragazzo diventa agli occhi di alcuni individui inaccettabile, il suo comportamento viene visto come qualcosa da punire severamente: è la logica più terribile che troviamo in tutti gli atti di prevaricazione e aggressività, in condizioni tragiche come questa e in tutte le situazioni di bullismo».
La dinamica dunque è tanto semplice quanto inquietante: la violenza e la prepotenza devono sopraffare la normalità. «Questo – continua Mencacci – perché in certi ambienti la normalità diventa anomalia. Là dove si esce dalla logica che il potere è fatto solo di violenza cieca, è in quelle situazioni che questi orrori si verificano. Quello che è accaduto è un esempio di orda primitiva in cui la legge del gruppo ha il sopravvento sulla persona più fragile in quel momento, isolata rispetto a un branco così compatto». Ma perché tanta aggressività? Da dove nasce?
«Quello che constatiamo – spiega l’esperto – è che l’accesso a comportamenti aggressivi e violenti e il passaggio da pensiero a azione si sta riducendo. Si stanno riducendo i tempi del pensare prima dell’agire, e stanno amplificandosi gli stimoli nei confronti dell’impulsività, a sua volta aumentata dal gruppo, ed eventualmente amplificata da alcol e sostanze stupefacenti». Questo accorciamento tra pensiero e azione, precisa l’esperto, deriva da tanti fattori, ormai legati da un lato a una progressiva riduzione della quantità di sonno, dall’altro all’aumento delle sostanze stimolanti anche naturali, per non parlare di alcol e droghe.
«Ma è l’accelerazione di tutto il nostro mondo l’aspetto più inquietante – conclude Mencacci – legata a un confrontarsi sempre più ossessivamente con l’utilizzo della rete, con strumenti di comunicazione sempre più veloci. Noi comunichiamo ormai solo con
l’udito, le persone si vedono sempre meno, e quello che diminuisce, di conseguenza, è la costruzione del senso di rete, di relazioni affettive e sociali. Quando le reti sociali sono così lacerate, l’impulsività produce aggressività, e la violenza è inevitabile».