Un incontro di «Fondazione Itaca», a Milano, per riflettere su pregiudizi e modi
di entrare in rapporto con i pazienti e con le loro famiglie. Tra cambiamenti e resistenza
Stigma, ovvero «marchio»,«macchia». Di stigma della malattia mentale siamo abituati a sentir parlare in riferimento alla società presa nel suo intero, ma che se ne discuta a proposito delle strutture in cui la patologia psichiatrica viene curata è più insolito. A questo tema ha voluto dedicare un incontro, a Milano, l’11 aprile, la «Fondazione Itaca» costituita nel 2012 e nata all’omonima associazione, fondata nel 1999, a Milano, (e che ora a sedi in tutta Italia) da un gruppo di volontari con l’obiettivo di attivare progetti di informazione, supporto e riabilitazione per le persone con disturbi mentali e e le loro famiglie.
Tre le domande rivolte a quattro psichiatri responsabili di Unità e Dipartimenti di salute mentale di Milano e Lecco: «I pregiudizi danneggiano le persone malate e rendono più difficile il percorso di recupero?»; »Quali elementi rinforzano la svalutazione della persona malata e dei suoi familiari all’interno dei vostri servizi?»; «Il servizio di cui siete responsabili ha messo in atto iniziative pratiche contrastare i pregiudizi?».
Trascuratezza degli ambienti, mancanza di spazi in cui ricevere amici e parenti, minore attenzione ad approfondire i problemi fisici, rischio di omogeneizzazione e costrizione in categorie costruite in base alla diagnosi, con il pericolo di veder sottovalutate le caratteristiche e le abilità personali. Difficoltà nel garantire continuità di cure e nei contatti con gli enti sul territorio. E spesso – aggiungono i pazienti e i loro familiari- sfiducia nelle possibilità di guarigione o miglioramento dei malati. «Una svalutazione percepita dai pazienti che la interiorizzano con un incremento di quello «stigma interno» che già vivono e li fa sentire in colpa e pesa sulle famiglie spingendole perfino a nascondere la malattia dei parenti. E gli stessi malati a nascondersi e a non cercare aiuto» sottolinea Ughetta Radice Fossati , segretario generale del Progetto Itaca
«Sottovalutazione dei problemi fisici? Si calcola che un persona con disturbo mentale viva 15 anni meno della media. Anche per le difficoltà che ha a seguire qualsiasi terapia. Ambienti degradati? Meno facile per noi ricevere finanziamenti pubblici e donazioni.Volete mettere l’appeal di un reparto di pediatria rispetto a uno di psichiatria?» dice Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di salute mentale e Neuroscienze all’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Ma non è solo questione di quattrini. Come sottolinea Antonio Lora , direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’ospedale di Lecco: «Lo stigma della malattia mentale colpisce tutti, anche noi. Ma è un argomento che non viene mai affrontato, men che meno nelle università. In un’indagine, fatta a Napoli, si è visto che i pregiudizi nei confronti di chi ha un malattia mentale, passando al primo al quinto anno degli studi di psicologia, aumentano invece di diminuire».
«Lo stigma non colpisce però solo i malati psichiatrici, ma chi appartiene a un’altra razza, a una minoranza: è il meccanismo con cui il “grande” gruppo si difende dal piccolo gruppo di “diversi” di cui ha paura» riflette Maria Isabella Greco , coordinatrice del Dipartimento di Salute mentale dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano.
«Ma anche gesti apparentemente di minore importanza possono fare la differenza , per esempio dare rigorosamente del “lei” ai pazienti e cercare di mantenere in uno stato decoroso gli ambienti su cui spesso si rivolge la rabbia e la disperazione dei pazienti» ribatte Costanzo Gala, direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria 1 , al San Paolo di Milano.
Disponibilità ad accogliere l’aiuto dei volontari, obbligo (rispettato) di garantire Piani di cura individuali e continuità delle cure, contatti continui con i servizi sul territorio per favorire il reinserimento sociale: tutti gli psichiatri presenti dichiarano che, da loro, si tratta di prassi consolidate. Ma dai questionari cui ha risposto un campione dei familiari che frequentano i corsi tra «pari»: da famiglia a famiglia, che Progetto Itaca organizza emergono punti critici . Sottolinea Felicia Giagnotti Tedone, responsabile della formazione a Progetto Itaca — le 600 persone, o meglio famiglie, coinvolte nei nostri questionari, nel 55,6% dei casi hanno detto di ignorare che cosa fosse il Piano terapeutico individuale e di non sapere se il loro familiare ne aveva uno; il 64 ,5% di essere stato coinvolto poco o nulla nel percorso di cura».
E che sia difficile per tutti pensare in “positivo” quando si ha a che fare con la malattia mentale lo ricorda Ughetta Radice Fossati: «Progetto Itaca è fondato sulla convinzione che tutti i soci: malati, ex malati familiari, volontari siano pari. Nei nostri corsi un malato, adeguatamente formato, parla ad altri, una famiglia ad altre. Cerchiamo di valorizzare i talenti e le predisposizioni di ognuno. L’idea , però, che un malato non sia in grado di aiutare gli altri e ci debba essere per forza un “professionista a guidare i lavori è ancora presente. Ma in questo modo, a parer nostro, si rafforza lo stigma della malattia» .
Da Corriere.it