Uno studio dell’Università di Montreal indica una probabilità aumentata dell’87%.
Secondo uno studio dell’Università di Montreal pubblicato sulla rivista Jama Pediatrics assumere antidepressivi in gravidanza, soprattutto nel secondo e terzo trimestre, potrebbe raddoppiare il rischio di sviluppare un disturbo dello spettro autistico per il nascituro. Una conclusione che rischia di risultare allarmante, ma che secondo gli sperti (e a parere degli stessi autori) va presa con una grandissima prudenza e con la consapevolezza che il tema andrà approfondito con ulteriori analisi. La prudenza deve derivare in primo luogo dal fatto che l’autismo è una malattia le cui cause, molto complesse, sono ancora in parte sconosciute, mentre sono perfettamente noti i danni, anche gravissimi, che la depressione della mamma può causare al bambino: danni fisici, ma anche neuro-cognitivi.
Lo studio comunque è importante e merita di essere conosciuto. I ricercatori, guidati da Anick Bérard dell’Università canadese di Montreal, hanno preso in considerazione oltre 145mila bambini (145.456) dal momento del loro concepimento fino al decimo compleanno. Gli studiosi hanno chiesto una serie di informazioni alle donne durante la gravidanza, tra cui se vi fossero casi di autismo in famiglia e se assumessero antidepressivi (in particolare inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina). Per più di mille dei bambini sotto esame è stata fatta una diagnosi di disturbo dello spettro autistico (1.054, lo 0,72%). L’età media alla prima diagnosi era di 4,6 anni e l’età media dei bambini al termine del follow-up era di 6,2 anni. Gli autori hanno identificato 4.724 bambini (il 3,2%) esposti agli antidepressivi in utero; 4.200 di questi (l’88,9%) durante il primo trimestre e 2.532 (il 53,6%) durante il secondo e/o terzo trimestre (un periodo critico per lo sviluppo cerebrale del bambino). In tutto 31 neonati esposti ai farmaci nel secondo e/o terzo trimestre (l’1,2% del totale del periodo) hanno avuto una diagnosi di autismo, e 40 neonati (1%) di quelli esposti durante il primo trimestre di gravidanza.
L’uso di queste terapie da parte della mamma durante il secondo e/o terzo trimestre è stato dunque associato a un aumento dell’87% del rischio di sviluppare una sindrome dello spettro autistico, mentre non è stata osservata alcuna associazione tra l’uso di antidepressivi durante il primo trimestre o nell’anno precedente la gravidanza e il rischio di questi disturbi nei bambini. Dallo studio risulta che il legame tra autismo e assunzione degli antidepressivi in gestazione resta forte anche quando si considerino tutti gli alti fattori che possono influenzare il rischio di ammalarsi, come per esempio avere uno o più fratelli maggiori a loro volta con autismo. Gli autori ricordano che lo studio ha alcune importanti limitazioni: per esempio non ha preso in considerazione alcuna informazione sullo stile di vita della madre. Inoltre, spiegano sarebbero necessarie «ulteriori ricerche per valutare il rischio di autismo associato ad altri tipi di antidepressivi e dosaggi durante la gravidanza».
Per Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano e presidente della Società Italiana di Psichiatria, «lo studio va confermato, ma apre comunque grosse perplessità per l’allarmismo che una notizia di questo genere suscita su una patologia, come l’autismo, di cui non si conoscono le cause e di cui esistono tante forme, con numerosissime variabili coinvolte». Conosciamo invece perfettamente – sottolinea Mencacci – «i fattori e i rischi di una depressione in gravidanza non trattata e i rischi della sospensione, sempre in gravidanza, di un trattamento per depressione già in corso». Basso peso alla nascita, complicazioni post-natali, ipoglicemia neonatale, indici di Apgar (il test che valuta l’adattamento del neonato alla vita extrauterina, ovvero la vitalità e l’efficienza delle funzioni vitali primarie) inferiori a 7 (sono considerati sani i neonati con punteggio da 7 a 10): sono alcuni dei problemi che il bambino può avere a causa di una depressione della mamma non trattata. E per gli anni a venire aumentano i rischi di disturbi emotivi-comportamentali, diabete, obesità, ipertensione. Una futura madre stressata produce maggiori quantità di cortisolo (l’ormone dello stress) e di catecolamine (altri ormoni rilasciati in situazioni di stress), che il feto assorbe con conseguenze anche a lungo termine sulla sua salute.
«A fronte di questo nuovo studio, ne esistono migliaia che ci dicono che, se la depressione materna non viene trattata, non solo la donna sta male, o spesso malissimo, ma che a subirne pesantissime conseguenze è anche il bambino – sottolinea Mencacci -. Se una donna è in trattamento antidepressivo e lo sospende in gravidanza si espone a una ricaduta e anche questo è molto rischioso. Le future mamme che soffrono di depressione devono essere seguite da uno specialista che individui la cura giusta e valuti il rapporto rischi-benefici, perché in questo modo anche queste donne potranno vivere la gravidanza e la maternità come un momento gioioso». Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (i farmaci presi in esame nello studio canadese) sono molto usati, aggiunge ancora l’esperto, e la maggior parte degli studi fatti finora indica che non danno aumenti delle malformazioni nel feto. «Aggiungo che naturalmente lo specialista valuta il dosaggio minimo efficace per ogni singola paziente, e solitamente in gravidanza riusciamo a utilizzare dosaggi molto bassi e frazionati al massimo nel corso della giornata – prosegue lo psichiatra -. Inoltre alla terapia farmacologica viene sempre affiancata la psicoterapia. L’alternativa è elettrochoc, che si può usare anche in gravidanza ma viene riservato ai casi gravissimi».
«In conclusione va sottolineato con forza che parliamo di molecole con più di 10mila casi trattati nel mondo (SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, e SNRI, inibitori della ricaptazione della serotonina e della norepinefrina), usate da 25 anni anche in gravidanza e allattamento: da allora non c’è stato un aumento di malformazioni nella popolazione generale (3-4%) – dice Mencacci -. Le donne quindi non devono sentirsi gravate dallo stigma della patologia, la maternità è un momento importante, va vissuto al meglio». La depressione cosiddetta perinatale, ovvero che nasce proprio nel contesto della gravidanza e del parto, colpisce circa il 10% delle donne (ma la percentuale è al ribasso) e insorge solitamente intorno al quarto mese di gestazione o (dopo il parto) nel terzo-quarto mese di vita del bambino, mentre il picco di ansia della donna si raggiunge alla 32esima settimana di gravidanza.
Anche Antonio Clavenna, responsabile dell’Unità di Farmacoepidemiologia all’interno del Laboratorio per la Salute Materno Infantile all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, valuta lo studio canadese in modo critico. «Lo studio è interessante e si inserisce in una serie di studi degli ultimi anni che hanno valutato il rapporto tra assunzione di antidepressivi in gravidanza e sviluppo di autismo o sindrome da deficit di attenzione e iperattività nel bambino – spiega il farmacologo -. Finora gli studi sull’autismo avevano dati risultati contrastanti, anche perché è un tema molto difficile da studiare in quanto non sono note tutte le possibili cause del disturbo. C’è una componente genetica che però non spiega completamente la malattia (i gemelli omozigoti non hanno rischio uguale di svilupparla) e ci sono fattori di tipo ambientale, che possono essere molteplici e sono ancora in parte sconosciuti ed è quindi impossibile valutarli negli studi».
In particolare, secondo Clavenna, i limiti dello studio partono dall’uso – da parte dei ricercatori – di banche dati create per ragioni amministrative, per cui mancano informazioni importantissime sullo stile di vita della mamma (abitudine a fumo, alcol, esposizione a inquinamento ambientale), come peraltro ammesso dagli stessi autori. «Altro limite dello studio: sappiamo che il farmaco antidepressivo è stato prescritto, ma non sappiamo se è stato assunto (e con quali dosi). Inoltre mancano informazioni cliniche sulla severità della depressione: tutti questi limiti potrebbero dare delle distorsioni nei risultati cui giungono gli autori. Infine, tra le malattie materne sono stati valutati solo i disturbi psichiatrici e alcune malattie croniche, come ipertensione e diabete, che possono dare problemi nello sviluppo fisico del feto, ma non altre malattie; inoltre, non sappiamo se le donne esaminate assumessero in gravidanza altri farmaci per cui si sospetta un possibile aumento del rischio di autismo, come per esempio l’antiepilettico acido valproico».
In definitiva, secondo Clavenna, lo studio canadese induce alla cautela, anche se conferma quanto detto da studi precedenti sul possibile legame tra antidepressivi e autismo. La ricerca non è affatto conclusiva, perché – a fronte di un dimostrato aumento dei casi percentuali di disturbi dello spettro autistico – non si può però affermare con certezza che tale aumento percentuale sia causato in modo diretto dall’assunzione dei farmaci antidepressivi, perché potrebbero esserci stati molti altri fattori non valutati nello studio stesso. «Resta dunque l’indicazione che la scelta della terapia deve essere valutata sulla base del singolo caso dallo specialista che potrà calcolare i rischi e benefici – conclude lo specialista -. Ricordo che la depressione in gravidanza non trattata può comportare grossi rischi per lo sviluppo fisico e neuro-cognitivo del neonato: la depressione deve essere trattata, con farmaci quando necessario e in alcuni casi, se possibile, anche senza ricorso ai farmaci».
Da Corriere.it