Maggiore è il numero delle sostituzioni di medicinali generici, minore è la compliance. Presentati i risultati di uno studio sulla relazione esistente tra lo switch tra farmaci equivalenti e aderenza alla terapia.
Milano, 18 novembre 2015 – L’aderenza alla terapia e la sostituzione orizzontale dei medicinali equivalenti sono inversamente proporzionali: all’aumentare dello switch da un generico a un altro della stessa molecola, infatti, l’adesione del paziente alla prescrizione terapeutica diminuisce, con un valore pari allo 28% se la sostituzione interessa metà delle prescrizioni.
Questi in estrema sintesi i risultati di uno studio osservazionale retrospettivo condotto in 2 ASL lombarde, a Pavia e Bergamo, presentati oggi in una conferenza stampa a Milano, organizzata dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), in collaborazione con DOC Generici. Questi dati fanno seguito a un precedente studio pubblicato su PlosOne nel 2013 che metteva a confronto medicinali generici e branded a brevetto scaduto, da cui era emersa l’equivalenza clinica tra brand e generico e in cui persistenza e compliance erano superiori per il farmaco equivalente.
L’analisi, condotta su un campione di oltre 14.500 pazienti, ha analizzato 6 patologie/aree terapeutiche, quali diabetologia, cardiologia, dislipidemia, reumatologia, psichiatria e ipertensione, con l’obiettivo di studiare gli effetti della sostituzione da parte del farmacista di un medicinale generico con un altro equivalente in termini di aderenza e persistenza al trattamento terapeutico in atto.
In tutte e 6 le aree prese in esame si è riscontrato un progressivo trend di riduzione della compliance a seguito di un cambio di farmaco: in media, se una prescrizione di generico su due viene sostituita con un altro equivalente, per la dislipidemia e il diabete si registra la percentuale più alta di diminuzione dell’aderenza (rispettivamente il 48% e il 36%), seguita dall’area della reumatologia (21%) e della psichiatria (19%) e dall’ipertensione (10%)*.
Questo calo dell’aderenza alla prescrizione farmacologica implica una minore efficacia e sicurezza dei trattamenti terapeutici, con conseguente aumento del rischio di complicanze e di un peggioramento delle condizioni di salute dei pazienti.
“Con piacere presentiamo i dati di questa importante ricerca che verte su un tema estremamente attuale e su cui ci giungono numerose richieste di chiarimento da parte delle donne”, afferma Nicoletta Orthmann, Referente medico-scientifico di Onda. “Lo scorso febbraio abbiamo presentato i dati di una nostra survey, condotta su un campione di 445 donne, con l’obiettivo di esplorare le modalità di approccio al farmaco generico e il grado di soddisfazione, con particolare riferimento alle conseguenze di un eventuale switch da un farmaco a un altro sulla prosecuzione della terapia. Tre donne su quattro avevano riferito che la sostituzione di un generico con un altro rappresentava un problema, che nel 19% dei casi si traduceva in una minor aderenza alla terapia (errori di assunzione, sospensione o interruzione). I risultati preliminari dello studio che presentiamo oggi costituiscono la conferma ‘evidence based’ di quanto emerso nella nostra indagine: più aumenta il numero delle sostituzioni tra generici, minore è l’aderenza al programma terapeutico in atto. Per patologie croniche, come quelle prese in considerazione della ricerca, risulta invece cruciale mantenere la continuità terapeutica, anche dopo il raggiungimento dei risultati positivi, per garantire la maggior efficacia e sicurezza del trattamento e ridurre il rischio di complicanze e di ospedalizzazione”.
“Lo studio presenta vari aspetti meritevoli di attenzione”, dichiara il professor Enrico Agabiti Rosei, Presidente della Società Europea dell’Ipertensione. “Innanzitutto i dati confermano che la pratica della sostituzione di un generico con un altro farmaco equivalente è assai comune, interessando più della metà dei pazienti. Inoltre, lo ‘switch’ spesso avviene ripetutamente, con una frequenza compresa fra un cambio ogni 3 e uno ogni 5 prescrizioni, in relazione alle diverse aree terapeutiche. I risultati evidenziano anche che nei pazienti con ripetuti ‘switch’ vi è una netta caduta della aderenza e della persistenza al trattamento, e ciò richiama l’attenzione sui possibili rischi connessi a frequenti variazioni del farmaco dispensato. Infine, è utile rimarcare anche che un sicuro punto di forza dell’indagine è costituito dalla rappresentatività per quanto accade ogni giorno nella realtà del nostro Servizio Sanitario, essendo basata su dati relativi agli assistiti della Regione Lombardia.”
“Anche nell’area della psichiatria – sostiene il professor Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Psichiatria e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano – lo studio in oggetto ha dimostrato che all’aumentare della sostituzione orizzontale tra farmaci generici diminuiscono aderenza e persistenza alla terapia. È fondamentale, come dimostrano le Linee guida AIFA del 2014, che, indipendentemente dall’antidepressivo utilizzato, il trattamento duri almeno 6 mesi nei pazienti affetti da depressione, in virtù dell’alto rischio di recidiva, a cui si attribuisce gran parte dei costi economici e sociali della patologia. Precedenti studi osservazionali hanno dimostrato che quasi il 50% dei pazienti in terapia sospende il trattamento nei primi 3 mesi ed il 70% nei primi 6 mesi. È quindi importante ridurre i fattori che possono influire sulla aderenza alle cure e anche quei fattori biologici che possono interferire con il buon esito clinico raggiunto. Si consiglia, pertanto, di mantenere sempre lo stesso ‘brand di generico’ con il quale si è iniziata la cura e raggiunto gli esiti positivi”.
“I farmaci bioequivalenti non presentano criticità nell’utilizzo clinico sia da parte degli specialisti che della medicina generale – afferma il professor Alberico Catapano, Presidente della Società Europea dell’Aterosclerosi – dimostrandosi, in una ampia serie di studi, del tutto equivalenti ai cosiddetti ‘branded’ nella efficacia clinica, misurabile nella popolazione trattata anche attraverso studi di utilizzo ‘real life’. Essi rappresentano inoltre un’opportunità per il contenimento della spesa farmaceutica, fermo restando il concetto di libertà di scelta del cittadino. Rimangono alcune barriere ‘psicologiche’ che originano dalla non completa comprensione da parte dei professionisti sanitari (medici, farmacisti etc.) del concetto di bioequivalenza, in aggiunta alla non uniformità delle confezioni che, nel caso di persone anziane, può essere un problema e portare a discontinuità terapeutiche rilevanti.”
*Il dato di diminuzione dell’aderenza relativo all’area cardiologica non è stato riportato in quanto non rilevante dal punto di vista statistico.