Il legame tra mente e tubo digerente è noto da tempo. Ora la scienza punta l’attenzione sul meccanismo inverso. Dalla flora batterica dipenderebbero varie patologie neurali
Fabio di Todaro
Ti senti stressato? La risposta alle tue condizioni potrebbe arrivare dall’intestino. I microrganismi – mille le specie presenti, poco meno di ventimila i ceppi geneticamente identici – che compongono quello che oggi la comunità scientifica chiama microbiota intestinale sarebbero responsabili della “reattività” del cervello e del suo sviluppo: sia durante la vita fetale sia durante l’infanzia. Ne è convinto John Cryan, neuroscienziato della University College di Cork, che ha parlato di queste ultime evidenze nel corso del congresso della Società Italiana di Psichiatria.
È un filo rosso invisibile, quello che lega l’intestino alla mente, e che porta a cercare lungo il tubo digerente le cause di alcuni disordini psichiatrici: dalla sindrome bipolare, come documentato in un lavoro apparso poche settimane fa su Plos One, alla socialità e alla depressione, i cui presunti legami con i microrganismi che vivono nell’intestino erano già stati ipotizzati un paio di anni indietro.
Lo scambio è bidirezionale, ma se il flusso che parte dalla mente e arriva al tubo digerente è descritto in un ampio bagaglio di ricerche, più recente è la branca di studi – definita “psicobiotica” – che indaga l’azione indiretta di questi microrganismi sul sistema nervoso centrale. Come possono batteri, virus e parassiti influenzare i comportamenti dell’uomo? Attraverso una fitta rete di scambi in grado di modulare risposte immunitarie, ormonali e neurali descritti in diverse ricerche – condotte su modelli animali – pubblicate nei mesi scorsi.
«In un futuro prossimo potremmo trattare i disturbi cerebrali e mentali modificando la flora batterica intestinale». Il commento di Giovanni Biggio, ordinario di farmacologia all’Università di Cagliari, dà la misura di quanto sia oggi battuta questa nuova pista: non soltanto dagli psichiatri, ma pure dai reumatologi e dagli immunologi.
Quella che non più di due decenni fa sarebbe stata considerata fantascienza, appare invece come un’ipotesi concreta, maturata in seguito alle ultime evidenze scientifiche. Oltre al microbiota intestinale, molta attenzione viene data a quello vaginale, con cui il feto viene a contatto durante il parto naturale. Valutare la sua composizione potrebbe diventare una strategia difensiva, «perché se è alterata, tale risulterà quella intestinale del bambino, con conseguenze anche sul cervello e sulla psiche», chiosa Biggio.
Anche il ruolo della dieta e degli stili di vita – con attenzione al consumo di alcol, sigarette e droghe – andrà rivalutato in questo contesto. «L’alimentazione può influenzare in senso positivo o negativo la comparsa di una depressione perinatale e lo sviluppo cerebrale del futuro bambino», dichiara Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Ciò perché gli alimenti che portiamo a tavola, oltre a saziarci, sono il primo regolatore della composizione del microbiota intestinale. Per dirla con le parole di Eugenio Aguglia, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Catania, «sono i suoi membri a produrre una gamma di sostanze neurochimiche che il cervello utilizza per la regolazione dei processi fisiologici e mentali: compresa la memoria, l’apprendimento e l’umore».
Il legame pare dunque provato. In che modo regolarlo, adesso, è il passo da compiere. In attesa di capire anche se, come descritto in un lavoro pubblicato su Plos One nel 2013, la riduzione di tre famiglie di batteri – prevotella, coprococco e veillonellaceae – riscontrata nei bambini autistici possa essere una delle cause del disturbo. È soltanto un’ipotesi, ma i ricercatori italiani vogliono vederci chiaro.
Twitter @fabioditodaro
Fonte: Lastampa.it