L'incontro: Viaggio tra gli «anonimi» che non vogliono sentirsi invisibili: «Smettere, giorno dopo giorno»
Non amano i media. Per incontrare Alcolisti Anonimi (non chiamateli Anonima Alcolisti) dobbiamo partecipare a una riunione aperta e far approvare ogni parola che scriviamo. Anche se esiste un sito Internet, è utile conoscere direttamente il metodo di recupero adottato da 500 gruppi italiani, di cui un centinaio in Lombardia e 12 nella sola Milano, dove gli A.A. sono nati nel 1976 . «Due premesse – esordisce Paolo. Non siamo volontari, ma un’associazione di auto-aiuto. Poi: non parliamo di un vizio, ma di una malattia, riconosciuta come tale, progressiva, irreversibile e mortale dall’Oms. La dipendenza è spesso il sintomo di un disagio esistenziale. Mettere il tappo alla bottiglia non è sufficiente, anche se determinante». La terza premessa è di Massimo: «Siamo anonimi, non invisibili. Crediamo nell’attrazione, non nella propaganda. L’anonimato è una difesa da noi stessi, per non dare da mangiare al nostro ego già troppo affamato». È dall’incontro, nel 1935, nell’Ohio (Usa) di Bob (chirurgo distrutto dall’alcol) e Bill (agente di cambio) che ha preso piede, in tutto il mondo, il programma di gruppi autogestiti, basato sul «Metodo dei 12 passi (o tappe)». Il primo step è il più tosto: riconoscere la propria impotenza di fronte all’alcol. Superato lo scoglio della negazione, tocca convincersi che non si esce dal problema riducendo le dosi. Essendo insopportabile pensare di non alzare il gomito per tutta la vita (matrimoni, compleanni, fine d’anno, nulla fa eccezione), si ricorre a un trucchetto: tenersi lontano dal primo bicchiere per sole 24 ore, poi per altre 24, e così via. Già, perché un alcolista resta sempre tale, e se per lui un bicchiere è troppo, cento sono troppo pochi. Paolino, giovane pugliese: «In 26 mesi di sobrietà ho recuperato l’affetto di mio figlio 13enne, ho preso la licenza media e non mi sento più solo. Non ho un lavoro e vivo al dormitorio di via Ortles, ma almeno adesso posso fare progetti. Sempre 24 ore per volta». A.A. è nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri (www.aa-arealombardia.it , sede in via Stratico 9/11; tel: 02.6473900 e 334.1889587). Per le scuole superiori, si fa informazione in genere assieme ad un Al-Anon, familiare di un alcolista. Graziella, mamma di un alcolista 35enne: «Iniziamo a prendere le cose con un po’ di distanza. Sto imparando a vivere, e non limitarmi a sopravvivere». Inoltre, A.A. lavora anche con onlus di mutuo aiuto e professionisti come la psicologa Patrizia Scuderi. Francesco è il referente degli ospedali: «Con postazioni fisse, siamo presenti a Niguarda, Sacco, San Paolo, San Carlo (e saltuariamente San Giuseppe)». Non ufficialmente legato ad A.A., ma molto collaborativo è il Fatebenefratelli. Dice Claudio Mencacci, direttore di Neuroscienze presso e presidente della Società italiana psichiatria: «Preoccupanti le sbronze precoci e ripetute in un periodo delicatissimo come quello dell’adolescenza: infatti, dai 10 ai 20 anni d’età, qualsiasi sostanza tossica influisce negativamente sul sistema nervoso centrale, il che si ripercuote sulla maturazione del cervello. Il motivo? Proprio in questa decina d’anni si verifica un assottigliamento della corteccia cerebrale». Paolo, sobrio da 7 anni, è il referente per le carceri: «Oltre il 75% dei reati è correlato all’alcol. La mia esperienza a Bollate mi continua a cambiare profondamente. Il nostro sogno: entrare anche nelle comunità di recupero». La riunione si conclude con la celeberrima preghiera della serenità. «La prima volta che misi piede in A. A. ? sorride M., 25 anni di sobrietà ad aprile (una sola scivolata dopo tre mesi) ? l?invocazione a un potere superiore mi mise in crisi. Mi fu spiegato che potevo ometterlo, o rivolgermi a una persona cara. Il timore di sostituire la stampella dell’alcol con quella del Gruppo non è avvenuto, ma se anche fosse stato?». Come si dice a fine riunione: conservate le cose che vi sono piaciute, e buttate le altre.
Da Corriere della Sera