Su internet anche la mancanza di parole è un rumore, un’interazione. Una pagina di un blog abbandonata, un sito non aggiornato, un profilo di Facebook fermo da mesi.
Su internet anche la mancanza di parole è un rumore, un’interazione. Una pagina di un blog abbandonata, un sito non aggiornato, un profilo di Facebook fermo da mesi. Il vuoto lasciato ti fa chiedere: Che è successo? Dove è sparito il proprietario di quello spazio. Se lo strumento di condivisione più consueto è internet, lì c’è anche la testimonianza della vita vera. Ma anche della morte.
Qualche giorno fa Christian di 24 anni di Torino se n’è andato, investito da un’auto che correva all’impazzata. Il fratello ha chiesto agli amici di ricordarlo su Facebook, facendo del suo profilo una meta di pellegrinaggio virtuale “per non dimenticarlo e farlo vivere ancora”. La pagina si è presto riempita di saluti. Ogni sera c’è qualcuno che augura la buonanotte, che affida qualche caro, o intona una preghiera tanto silenziosa, quanto rumorosa nella rete, che ha la potenza di rimanere lì impressa per sempre.
“Tutto si vive in rete, anche le tradizioni. E non c’è niente di più naturale del culto, pure su internet, delle persone che non ci sono più”. Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano ha a che fare ogni giorno con pazienti alle prese con l’elaborazione di un lutto. Lo stesso distacco che molti provano a spiegare con messaggi, lettere, foto e canzoni sulle pagine Facebook delle persone scomparse, soprattutto di quelle giovani, morte in circostanze improvvise.
“A tutti servono dei riti – continua Mencacci – una volta c’era, e per molti c’è ancora, il libro, la messa, il fiore. Altri usano quello che più li aiuta: un ricordo lasciato sulla bacheca dell’amico. Non è altro che un modo per farlo parlare ancora, un luogo dove potere vivere ancora il rapporto. Certo – puntualizza il professore – manca l’aspetto del contatto, del calore, ma non è meno importante. Parlare della morte è sempre un aiuto per superare il distacco”.
Qualche tempo fa Facebook aveva messo a disposizione degli utenti un modulo da compilare per trasformare la pagina del defunto in una sorta di libro su cui scrivere un ultimo ricordo. Per il social network c’era la necessità di recuperare degli account in disuso, ma per gli amici e i parenti l’opportunità può diventare importante. La morte non agisce su Facebook: ad alcuni sembrerà strano, ma per altri non c’è consolazione più grande di sapere che qualcosa della persona a cui si voleva bene è rimasto immutato.
Quasi ogni sera sulla pagina di Paolo, morto tre anni fa in un incidente in moto, la fidanzata di allora lascia una lettera: si rivolge a lui e racconta cosa è successo al lavoro, la serata con le amiche, le preoccupazioni per un colloquio importante. E le sue parole sono commentate puntualmente da amici che fanno gli auguri per il compleanno, che postano le foto dei figli appena nati, dei matrimoni appena festeggiati.
“Una scelta calata nella realtà di ognuno”, precisa Mencacci. “E’ solo sbagliato non riconoscere la necessità di quelle parole rivolte a tutti”.